Verso la fine di luglio sono
a Gstaad con Teresa (mia moglie), che non è per nulla interessata
alla mia ricerca, pur accettandola di buon grado. Siamo in
possesso di tutte le informazioni per raggiungere lo chalet dove U.G. affitta
un appartamento per il periodo di permanenza in Svizzera e già
il primo giorno siamo pronti a fare una visita. Nel recarmi a casa sua
vengo colto da tutte le paure e dai dubbi del mio carattere, eccessivamente
riservato. La complicazione è che U.G. parla inglese ed il mio inglese
è pessimo, inoltre penso al libro dove vi sono spesso
frasi del tipo: "Cosa venite qui a fare", "Qui non
otterrete nulla", "Non è questo che desiderate realmente"
ecc. ecc.
Dopo mille e più tentennamenti Teresa mi spinge, quasi a forza,
per le poche decine di metri di salita sterrata che portano
all'agognato chalet. Arriviamo sul prato e troviamo una dozzina massimo
di persone, sedute in semicerchio, rivolte verso un indiano che,
inequivocabilmente, identifico come U.G.
Chiedo, con il mio poco inglese, se possiamo stare lì per qualche
momento e lui risponde "Certo certo" e ci dice di prendere un paio di sedie
tra quelle che sono accatastate lungo il muro della casa. Pigliamo posto
nel semicerchio mentre U.G. riprende a parlare, forse rispondendo ad una
domanda precedente. Prima di fare mente locale sulla situazione logistica
di quello che sta avvenendo, devo calmare le forti emozioni che porto dentro.
Mi sono rivolto in inglese direttamente ad un realizzato e sono
stato accolto nella cerchia dove, a mio modo di vedere, sta avvenendo
qualcosa di molto importante che io, rubando i termini al libro "Io sono
quello", chiamo "Trasmissione di sapienza".
Il ghiaccio è rotto e lo scoglio maggiore è superato,
ora focalizzo la mia attenzione sull'uomo U.G. Fisicamente è
minuto, piccolo e magro, ha circa 74 anni, ma ne dimostra molti di meno,
se non nel fisico, quanto meno nello spirito e nei modi di fare. Indossa
una felpa beige con un paio di pantaloni dello stesso colore. Il viso ha
un che di androgino, forse anche per i capelli bianchi e lunghi, la carnagione
è piuttosto chiara per un indiano del sud. Non sembra particolarmente
gioioso ed amichevole, il suo sguardo però, che scorre velocemente
su tutti i presenti, ha un che di luminoso. Il suo distacco rasenta l'indifferenza,
o così almeno sembra a me, e questo, unito al tono di grande certezza
con cui risponde alle domande, crea una sorta di distanza tra lui
e le persone presenti.
Nel corso del primo incontro noto che parla a volte con enfasi,
a volte con estrema calma e dolcezza. E se non ci sono domande particolari
il discorso scivola facilmente su argomenti banali o comunque non pertinenti.
Nel complesso non sono a disagio, anzi sto abbastanza bene e U.G. sembra
ignorarmi se non per il fatto che, ad un certo punto, chiede da dove veniamo.
Non segue una seconda domanda a questa prima; con la stessa velocità
con cui si è interessato di noi si disinteressa, per passare ad
altri argomenti. E' sempre lui che parla, salvo che per le domande, mentre,
per tutto il resto, non presenta altri segni di superiorità
rispetto a chi gli sta vicino. Non ha una sedia migliore delle nostre (le
sedie sono tutte da giardino e piuttosto in pessime condizioni) non ha
un seguito che lo cura o lo venera, anzi si percepisce subito che non ha
preferenze per nessuno, sembra quasi che gli importi assai poco di tutti
i presenti. Più avanti, durante l'incontro, si rivolge ancora a
me : "Tu che sei venuto fin da Milano non hai domande da fare?"
Mi rifugio dietro la scusa di conoscere veramente poco l'inglese. Mi chiede
come sono venuto a conoscenza di lui e rispondo che ho letto il libro "La
mente è un mito" ed é, a seguito del libro, che sono lì.
Aggiunge semplicemente che, se sono lì, il libro non ha fatto il
suo dovere e quindi cambia ancora argomento e persona. Mi colpisce
il suo sguardo ed anche i gesti, molto aggraziati, che fa con le
mani. Dopo un paio d'ore circa, ci congeda tutti quanti, ringraziandoci.
Venendo via dallo chalet faccio qualche considerazione con Teresa:
la persona è sicuramente particolare, comunque nè io nè
lei siamo impressionati più di tanto. Nel mio intimo penso: ora
finalmente ho visto quello che ho tanto cercato e su cui ho molto riflettuto,
certamente nella mia fantasia, incoraggiata anche dalla letteratura sull'argomento,
mi aspettavo qualche cosa di più eclatante, pensavo che l'impatto
su di me sarebbe stato più potente, più significativo,
comunque mi astengo dal tirare una conclusione definitiva e lascio che
le cose si evolvano nel loro modo naturale. Ho anche il problema di Teresa
che, sì mi asseconda, ma se la cosa non è di
suo gradimento, non tarda a farmelo sapere e in ogni caso, se non
è obbligata, non fa una cosa controvoglia. Quindi, nel caso decidessi
di tornare da U.G., dovrei tenere conto anche del suo parere e, qualora
fosse negativo, so che non riuscirei a decidere di lasciarla, sola al pomeriggio,
rischiando di guastargli le ferie.
Il secondo giorno non andiamo da U.G. ed anche la questione "Se mai
ci torneremo" è sospesa. Comunque, durante il giorno, negli splendidi
panorami di queste valli, ci penso molto. Non posso fare a meno di cercare
di inserirlo nel quadro delle idee che mi sono fatto su tutta la faccenda,
ogni parola, ogni gesto sono confrontati con quanto ho appreso dai libri.
Ho un dialogo interno continuo con cui discuto con lui per difendere i
punti che lui nega con tanta forza e veemenza. "Non esiste l'illuminazione"
"Nessuno può fare niente per voi" "Io non posso
aiutarvi" e via dicendo.
Il terzo giorno propongo di tornare ed anche Teresa è d'accordo.
L'incontro è più o meno come quello del giorno precedente,
ci sono domande che riguardano i problemi fondamentali della vita con le
risposte di U.G. e, se nessuno pone domande, la discussione scivola su
argomenti più frivoli. E' un ottimo intrattenitore e spesso ha battute
sorprendenti che suscitano l'ilarità dei presenti. Ogni tanto ci
sono momenti di silenzio, a volte anche protratto, che disturbano Teresa
proprio come quando, in un incontro tra persone che non si conoscono molto,
il discorso langue e si crea quel momento di silenzio che finisce per sembrare
imbarazzante. Personalmente quando siamo da U.G anche questi momenti di
silenzio totale mi sembrano perfettamente normali.
Nel corso degli incontri il mio stato d'animo assume un tono altalenante:
a volte mi sento bene, mentre a volte mi sento a disagio, come se fossi
un intruso in un gruppo di amici, anche se devo dare atto a U.G. che il
suo atteggiamento d'imparzialità, non giustifica, in alcun modo,
questo mio sentimento. E comunque, piano piano, comincio ad avere la percezione
che lì c'è "Qualche cosa."
Durante un incontro vengo a sapere che è lui lo "Svizzero" citato
nel libro "Io sono quello". Ci racconta che Maurice Friedman, (*) combinò
un incontro tra lui e Nisargadatta, purtroppo però dice che Nisargadatta
parlava solo il marati che lui non conosceva e che anche Friedman conosceva
poco, così l'incontro non sortì un grande effetto.
Una cosa mi è subito chiara ed aiuta a far apprezzare U.G.:
lui non mente, è sincero fino a fare del male, dice "Pane al pane".
Si potrà dire tutto di lui, ma sicuramente, nessuno potrà
dire che ci ha blandito con sogni e promesse. Quando dice che le tecniche
di meditazione non servono, quando dice che i vari maestri non aiutano
e poi butta lì: "Se le risposte fossero state
vere non sareste ancora qui a fare le stesse domande", non
posso che ammettere che ha ragione. Se sono lì è perché
tutto quanto ho scoperto finora non ha risolto il problema.
La rimanente parte della settimana andiamo all'incontro del pomeriggio;
U.G. ci convince sempre più ed io formulo una prima considerazione:
"U.G. con una mano ci respinge e con l'altra ci attira". Teresa, l'agnostica,
comprende l'inglese meno di me, non è affatto interessata alla filosofia,
comunque dice che lassù si trova bene ed anch'io noto che vengo
via dall'incontro con un senso di benessere e di pace.
La settimana volge al termine: una sera, prima di dormire, sono molto
demoralizzato, penso che con il mio carattere, con la poca fiducia
in me stesso, non arriverò mai, se non alla realizzazione, almeno
alla pace o ad un certo benessere dello spirito. Il giorno dopo, durante
l'incontro, U.G., senza che nessuno gli abbia chiesto niente, esordisce
con un discorso teso a dimostrare l'inutilità dell'auto-stima nella
vita. Per l'esattezza le sole parole che ricordo sono: "L'auto-stima
...... guarda cosa vanno ad inventare ......". La cosa
mi sembra degna di nota in quanto, né nei suoi libri né nelle
discussioni a cui ho assistito, lo ho mai sentito menzionare questo argomento
ed anche sono sorpreso perché il termine inglese avrebbe dovuto
essere "Self estime" oppure "Self trust", mentre U.G. ha proprio
usato il termine "auto-stima" che è un termine italiano. Non riesco
a dare molte spiegazioni a questo fatto, che, per altro, al momento mi
è sembrato completamente normale. Registro comunque questo primo
soccorso, non sollecitato, di U.G. nei miei confronti, senza scartare del
tutto l'ipotesi che possa essersi trattato di un caso.
Si avvicina il giorno della partenza, penso che sia doveroso fare un
regalo a U.G., se non altro per l'ospitalità che ci offre tutti
i giorni. Non è semplice scegliere qualche cosa e poi noi lo conosciamo
così poco! Ricordandomi che nel libro "La mente è un mito",
in qualche punto, dice che legge libri gialli e libri di fantascienza,
decido di comprargli un libro ed opto per la fantascienza. Con qualche
fatica troviamo il libro in inglese, la commessa lo confeziona formato
regalo e, con il nostro libro, ci avviamo all'incontro. Quando arriviamo
è presente solo una persona che, per altro, si alza per entrare
in casa a bere un bicchiere d'acqua; ne approfitto, giacché siamo
soli, per dare il regalo a U.G. lui chiede cos'è, gli dico
che è un libro, dice che legge solo libri in inglese, lo rassicuro
che è in inglese, lo scarta e mi ringrazia, mi sembra contento.
Scoprirò molto più tardi, che legge o leggeva solo libri
gialli.
Arriva la fine della nostra settimana di ferie, siamo pronti a lasciare
Gstaad e U.G. Non è successo niente, abbiamo passato una settimana
piacevole. Una volta a casa cerco riscontri nella mia vita quotidiana:
nulla, tutto è come prima, stessa insoddisfazione, stesse difficoltà,
stessi problemi. U.G. è sicuramente un realizzato, ma probabilmente,
come dice lui stesso, non serve a nulla.
Dopo due settimane e prima che lui lasci la Svizzera, decidiamo di
fare una seconda settimana a Gstaad; torniamo là. Sono cambiati
i frequentatori, la routine è la stessa; ogni sera andiamo da U.G.,
ogni sera veniamo via con animo leggero. U.G. piace sempre più sia
a me che a Teresa, tuttavia, al di là di questo, niente.
Gli incontri, diversamente dalla settimana precedente, sono tenuti
all'interno dello chalet, a causa anche del clima più freddo. Ligi
al programma, tutti i giorni, facciamo la nostra visita serale, non perdendo
neanche un incontro. Come già la prima settimana U.G. ripete spesso
che l'anno successivo non tornerà a Gstaad. Probabilmente, per me,
questa è l'ultima volta che lo vedo, comunque non importa, ho conosciuto
un realizzato ed io penso, in accordo con la tradizione, che questo possa
significare un momento molto importante nella mia vita.
La settimana scorre velocemente e si arriva all'ultimo giorno, che
questa volta è l'ultimo giorno anche per U.G. in quanto, l'indomani,
partirà per l'America. Mi sembra di cogliere un velo di malinconia
nei suoi occhi, un'ombra di tristezza dettata da chissà quale sentimento.
Siamo ai convenevoli finali dell'incontro che si prolungano di più
essendo l'ultimo giorno in assoluto. Qualcuno chiede il permesso
di fotografare e U.G. accondiscende. E' sempre prodigo nel lasciarsi fotografare
o cineprendere, anche se poi dice che noi finiamo per attaccarci alle nostre
fotografie ed ai nostri ricordi, perdendo l'essenziale. La scena che segue
supera quanto avrei potuto immaginare, dagli zaini e dalle borse compaiono
le macchine fotografiche, brillano le luci dei flash, si sentono
i "click" degli interruttori a ripetizione, qualcuno chiede di essere fotografato
vicino a U.G. e lui accondiscende. La cosa dura talmente tanto
che infine anche Teresa decide di prendere dallo zaino la nostra
macchina fotografica che noi, basandoci sulle parole di U.G., non
avevamo mai usato e riesce a scattare un paio di foto. Dopo parecchio U.G.
con voce velata dice: "Ma sono un uomo!" e mi colpisce
il tono ed il modo in cui lo dice, quasi sotto voce, come stesse facendo
una riflessione con se stesso.
Si torna in Italia con un lungo anno davanti da affrontare e, come
dopo il primo ritorno, nulla è cambiato, non vedo miglioramento
nella mia vita.
CONSIDERAZIONI SU U.G. DOPO IL PRIMO ANNO.
U.G. è un personaggio straordinario;
questa è in sintesi l'opinione che riporto dopo le due settimane
passate in Svizzera vicino a lui. Le risposte alle domande sono sottolineate
da una sicurezza totale tanto che è difficile controbattere; ma
qui bisogna fare una precisazione affinché, da quanto detto, U.G.
non appaia come un maestro autoritario e pieno di sé. Le domande
appartengono alla sfera strettamente riguardante l'uomo e la sua relazione
con la vita, ed in questo campo U.G. è forte della propria esperienza
diretta. Infatti, nel caso abbastanza raro che filtri una domanda di ordine
generale, la risposta potrebbe essere "Non so" oppure "Non sono qualificato
a rispondere". Voglio fare un esempio specifico: nel libro "La mente è
un mito" qualcuno chiede a U.G. se ha delle opinioni politiche su come
mandare avanti questa società? U.G. risponde:
"Ho acquisito parecchie conoscenze studiando, viaggiando, facendo
esperienze e così via. E posso farmi una opinione su qualsiasi cosa,
dalla malattia alla divinità. Ma le mie opinioni non hanno più
valore di quelle della cameriera che viene qui a fare le pulizie ed a cucinare".
U.G. risponde alle domande postegli dalle persone che vanno a trovarlo.
Le domande riguardano principalmente temi quali la ricerca della realizzazione
(di cui, per altro, lui nega l'esistenza con enfasi) o il problema dell'uomo
e le sua relazioni con la vita. Qualche volta qualcuno chiede della sua
esperienza straordinaria e come, dopo questa, il rapporto che egli
ha con la vita e con il mondo si sia modificato.
Le sue risposte sono abbastanza standard e comu persone che conosco. Per me, forse a causa della mia ricerca, hanno
un senso profondo e meritano di essere ponderate ulteriormente.
U.G. non usa mezzi termini nel dirci che quanto stiamo facendo lì
non serve a nulla e che niente e nessuno può aiutarci; eppure in
me vi è ancora questa speranza. Penso alla frase di Nisargadatta
dove dice: "Raro è il realizzato che si palesa per tale
e fortunati sono quelli che lo hanno incontrato, perché ciò
sarà avvenuto per il loro bene".
D'altro canto la vicinanza con un realizzato in sanscrito "Sat-sang",
alla lettera "sodalizio con l'essere", è, secondo la tradizione
indiana, uno dei più potenti strumenti per la crescita personale.
Nel "Supplemento ai quaranta versetti" si trova questo verso che fu tradotto
dal sanscrito da Ramana Maharishi: "Se si ottiene il sodalizio con i
saggi, che scopo hanno i vari metodi di autodisciplina? Ditemi a
che serve un ventaglio quando soffia il fresco soave vento
del Sud?".