Siamo agli inizi di giugno, un turbinio
di sentimenti contrastanti trascinano il mio animo in una altalena di alti
e bassi. Desiderio ed ansia di Gstaad. Talvolta mi sento come trasportato
da una forza misteriosa in qualche luogo di quella valle, un prato, una
via, una delle nostre passeggiate lungo il fiume. E questa sensazione si
affaccia alla mia mente con grande realismo come se mi trovassi veramente
là. Dovrei forse essere preoccupato per la mia sanità mentale,
ma non lo sono, primo perché la sensazione, anche se fortissima,
è solo piacevole, come una ventata di aria fresca in un > Come in una sorta di gigantesco parco
giochi, turisti con le tute variopinte scendono sui loro gommoni
il fiume dalle acque cristalline che si snoda lungo tutta la valle del
Saanenland, mentre sopra le nostre teste gli alianti fendono l'aria con
un sibilo sordo, per poi planare come aggraziate libellule nel vicino eliporto.
Più in alto, le cime delle montagne brulicano di intrepidi Icari
che si librano nel cielo azzurro con i loro colorati parapendii. Dai vicini
campi da tennis riecheggia il rumore secco e regolare delle racchette che
colpiscono le palline e questo rumore si mischia allo scalpitio degli
zoccoli dei cavalli di qualcuno che sta facendo equitazione lungo il fiume.
Non di rado si può vedere anche la grossa mongolfiera che si muove
lenta e silenziosa nel cielo della valle, ed il trenino panoramico, corto
e molto elegante, fermo alla stazione.
In questo immenso Disneyland prosegue la nostra avventura a Gstaad
che per noi è ormai diventato una meta importante. Abbiamo deciso
di fare un periodo di tre settimane: la prima ad inizio di luglio, le altre
due a cavallo tra luglio ed agosto. Marisa, con cui siamo rimasti in contatto,
ci ha preannunciato che quest'anno ci saranno molti dei vecchi amici di
U.G. per celebrare il suo 42 anno di permanenza in Svizzera. Si dice che
i multipli di sette abbiano sempre rappresentato qualche cosa
nella sua vita. Quindi eccoci qui.
Alle 16 in punto ci avviamo all'incontro con tanta contentezza
nel cuore e con quel pizzico di apprensione, aggiungo io, che accompagna
sempre il primo giorno del ritorno. U.G., contro tutte le aspettative,
ci accoglie con un calore inusuale. Mai fare previsioni con lui. Inizialmente
siamo solo Teresa ed io e fortunatamente valuto che il mio
inglese va meglio.
Parliamo di varie cose e, fra l'altro, U.G. mi chiede se quando sono
stato in India ho visitato Sai Baba? "Sì", rispondo e non
sono pronto a chiedergli come mai mi faccia una simile domanda, lui che
sembra sempre così poco interessato ai fatti degli altri. Nel mentre
arriva Mario che, da qualche anno, sta seguendo U.G. molto da vicino.U.G.
gli chiede se gli ha sbrigato una certa commissione. Una considerazione
mi attraversa veloce la mente: "E' fortunato Mario che può
stare così vicino a U.G. e fare qualche cosa per lui."
Mentre siamo all'incontro mi prende una irrefrenabile voglia di ridere
che a stento riesco a controllare. Immotivata ed imprevista la cosa va
avanti dentro di me per parecchio tempo; ce la sto mettendo tutta per mantenere
un contegno, ma sento che qualche smorfia trapela sul mio viso. Fortunatamente
l'attenzione di tutti è catalizzata da U.G. e nessuno si accorge
di me. Potrei lasciarmi andare in una grande risata liberatoria, ma il
mio background culturale non me lo permette. Poco dopo arrivano altri due
italiani e U.G. ci invita tutti per la cena. Questo quarto anno sta partendo
davvero bene. Mentre stiamo mangiando U.G esordisce:
"La gente dice che a fronte della stessa situazione io ho reazioni
diverse, ma questo succede perché la situazione non
è la stessa, almeno una cosa è cambiata."
E butta lì questa frase senza nessun apparente motivo. Io non
posso fare a meno di mettere in relazione questa affermazione con l'accoglienza
diversa che U.G. ci ha riservato quest'anno, anche se non so individuare
la "Cosa diversa". Forse la mia conoscenza dell'inglese, semplifico tra
me e me, ma ho il sospetto che U.G. colga sfumature molto più profonde.
Il giorno successivo ottengo una risposta, non verbale, al mio pensiero
della sera prima quando riflettevo sulla fortuna che ha Mario nello stargli
così vicino. U.G. ha comperato un "Note book/macchina per fax" tascabile
e mi chiede se posso aiutarlo a farla funzionare, in virtù anche
della mia esperienza con i computers. Eccomi inserito nella lista di quelli
che possono fare qualche cosa per U.G. "Ben volentieri", rispondo e prendo
accordi per il giorno successivo alle ore 10.
Mi sorprende che U.G. si ricordi che io lavoro nell'informatica, come
mi aveva sorpreso il fatto che si fosse ricordato che eravamo stati in
India, due cose che gli avevo detto anni prima durante i miei rari dialoghi
con lui. Il suo dichiarato disinteresse per noi tutti evidentemente è
solo a parole, i fatti mostrano ben altro.
La mattina alle 10 Teresa ed io saliamo da lui. Io studio il funzionamento
della macchina dei fax, mentre Teresa legge un giornale comodamente seduta
su una delle poltrone del salotto. U.G silenzioso come un felino, attende
alle sue faccende di casa.
L'appuntamento della mattina non ci esenta dal salire all'ora canonica
per l'incontro serale. Siamo ancora in pochi questa prima settimana, U.G.
ci racconta che aspetta la visita di un maestro indiano (certo Baba) che
sta diventando molto famoso. Ci dice di lui che usa abbracciare le persone
come forma di benedizione ed inoltre racconta che sta raccogliendo attorno
a sé tutti gli ex seguaci ricchi di Rajneesh, mentre quelli poveri
vanno da Poonja o da altri.
Il mattino seguente saliamo ancora da U.G. per la macchina dei fax,
sono pronto per fare una prova e resto realmente stupito quando vedo che
tutto funziona al primo colpo. La mia ventennale esperienza nell'informatica
mi aveva abituato ad attivazioni più sofferte. Ma in fondo, vicino
a U.G., può anche venire il dubbio che l'informatica sia una opinione.
Ho appena terminato la prova, quando arrivano due suoi amici di passaggio
a Gstaad. Lui mi chiede se possiamo continuare l'indomani ed ottenuto il
mio assenso, si rivolge ai nuovi arrivati. Io già non esisto più,
non ricevo nè un grazie nè un arrivederci.
La settimana procede in questa atmosfera di intensa comunione con U.G.
Teresa è felice per me e questo è il mistero del cuore delle
donne, che sanno gioire per la felicità della persona amata.
Dopo gli incontri abbiamo preso l'abitudine di andare a bere un buon tè
con Pascal, un francese di cui siamo diventati amici. Mi piacciono molto
questi momenti nei quali possiamo confrontare le nostre esperienze, soprattutto
perché di solito sono autentiche e di prima mano. Anche Pascal ha
visitato una serie di maestri autorevoli tra cui forse il più significativo
è stato Ananda Mayi Ma, una famosa e ben conosciuta santa indiana,
che Pascal ha visitato in India, prima di incontrare U.G.
Teresa ed io continuiamo a non perdere l'incontro delle 16. Questa
sera U.G. è tutto concitato, oppure finge di esserlo, ci racconta
che il suo amico, professor Narayana Moorty ha fatto inserire in "Internet"
un articolo su di lui ed anche il libro: "La mente è un mito". Dice:
"Adesso con tutti i milioni di persone che accedono ad Internet chissà
quanta gente verrà qui; Moorty mi ha detto che stanno già
telefonando in molti per sapere come contattarmi."
Poco dopo vediamo arrivare un gruppo di persone, è il Baba con
i suoi discepoli. U.G. si alza e mettendo avanti una mano gli dice: "Non
mi abbracciare". Il Baba comunque riesce a carpirgli la mano che
accarezza e scrolla abbondantemente. U.G. gli cede la sua poltrona
e quindi l'incontro riprende con la naturalezza di prima. "Nessuno, neanche
l'imperatore della terra se ci fosse, riuscirebbe a scuotere la calma
serafica di U.G.", penso tra me e me.
Nel congedarci U.G. mi dice: "Avrò ancora bisogno di te domani,
però alle 10 devo passare in posta, se vi va bene possiamo vederci
là, così vi mostro gli appartamenti che ho affittato
per gli amici che verranno in agosto". "Va bene" rispondo e ci accordiamo
per le 10 davanti all'ufficio postale. La sera dico a Teresa: "Chissà
come mai U.G. ci vuole mostrare quegli appartamenti? Forse vuole essere
confortato nella scelta che ha fatto." Teresa, che è sempre
molto meno complicata di me, non mi dà grande soddisfazione e dice
che probabilmente sarà così. Il giorno dopo, alle 10, ci
incontriamo con U.G. il quale, dopo avere sbrigato le proprie faccende,
ci accompagna al vicino chalet Ludy house. Ci mostra i tre appartamenti
che sono stati prenotati per tutto agosto accennando anche a chi probabilmente
li occuperà. Mentre siamo lì chiedo: "U.G. perché
ci hai voluto mostrare gli appartamenti?" La sua risposta è
semplice e disarmante: "Mi era sembrato che voi non sapeste dove sistemarvi
nelle due settimane che tornerete qui a luglio" dice "Così ho pensato
bene di farvi vedere queste sistemazioni che sono anche a buon mercato."
E' vero! Una sera U.G. ci aveva chiesto se avevamo già prenotato
per il prossimo periodo e noi gli avevamo risposto che stavamo cercando
una buona sistemazione.
Siamo verso la fine della settimana; ogni giorno siamo saliti da U.G.
alla mattina per l'incarico con la macchina dei fax. Tutto è andato
bene, abbiamo fatto diversi fax in India. Al di là di tutto sono
fermamente convinto che questo "Padre buono" mi abbia fatto salire, più
che per una necessità personale, per fare un dono a me, intuendo
quanto la cosa mi avrebbe fatto piacere.
Mentre saliamo la sera troviamo il Baba che sta venendo via dallo chalet
di U.G. dopo essersi congedato da lui in quanto, il giorno successivo,
lascerà Gstaad. Quando ci vede stampiglia un bel bacione sulla fronte
di Teresa e stringe calorosamente la mia mano. Così senza chiederla
abbiamo avuto anche la benedizione del Baba.
E' l'ultimo giorno di questa prima settimana. Teresa ed io stiamo girovagando
per Gstaad, che si sta riempiendo di persone dell'alta società in
previsione del torneo internazionale di tennis che si tiene tutti gli anni
in questo periodo. Ad un certo punto vedo una macchina che, facendo manovra,
va ad infilarsi in un corridoio con la scritta: "Strettamente riservato
al personale del torneo." Lì vicino un burbero poliziotto svizzero
presidia il posto. Già con l'immaginazione vedo il poliziotto avvicinarsi
alla macchina e chiedere, in modo cortese ma risoluto, di spostarsi. Nel
mentre mi avvedo anche che alla guida della macchina c'è Vijay Anand
(un amico indiano di U.G. che avevamo conosciuto il giorno precedente)
ed alla sua sinistra U.G. stesso. Il poliziotto non fa mostra di vedere
la macchina e questo, viste le circostanze, mi sembra del tutto normale.
Non ho altre prove, eccetto l'esperienza, per affermare che, in qualsiasi
altro caso, il poliziotto avrebbe reagito come ho esposto sopra. Ma noto
che con U.G. tutto va come deve andare, le cose succedono nel modo più
naturale possibile, gli ostacoli sono rimossi e la strada si appiana naturalmente.
Anche Nisargadatta alla domanda se "Le cose succedevano come Lui
voleva, o era Lui a farle succedere in quel modo", rispondeva semplicemente:
"L'uno e l'altro, accetto e vengo accettato."
U.G. scende, si avvicina a noi e ci invita a fare un giro. Travolti
da questo vortice di sorprese e senza riflettere un solo minuto, Teresa
ed io accettiamo, senza neanche indagare su che giro avessero in mente
di fare U.G. e Vijay Anand. Durante il viaggio poi scopriamo che Vijay
Anand ha noleggiato la macchina in quanto vuole fare pratica sulla guida
a destra. Quello è il primo giro in assoluto, U.G. lo ha incoraggiato,
lo ha aiutato a sbrigare le pratiche per il noleggio ed, aggiungo io, ora
sta facendo la parte del passeggero (parte nella quale ha coinvolto anche
noi) per dare maggiore fiducia all'amico. Il giro di Vijay è facile
e lui non ha grosse difficoltà nel riportarci tutti
a Gstaad.
Alla sera dello stesso giorno succede un altro piccolo episodio che
merita di essere ricordato. Vijay Anand ci aveva detto che non sarebbe
salito la sera perché U.G. aveva espresso il desiderio di non essere
disturbato. Noi per la verità non avevamo sentito niente così,
verso le quattro, ci sediamo su una panchina dalla quale possiamo controllare
lo chalet con l'intento di vedere se sale qualcuno. Mentre aspettiamo passano
due donne che parlano italiano. Teresa dice: "Salgono da U.G." "Ma no!"
ribadisco io, tra il serio ed il faceto "Per me sono le familiari di qualche
tennista italiano". Naturalmente ha ragione Teresa, dopo poco le vediamo
ferme sul prato fuori dallo chalet. "Presto, presto" dico a Teresa "saliamo
anche noi". Le due nuove arrivate sono molto contente di vedere altri,
tanto più contente quando si rendono conto che anche noi siamo italiani.
La meno giovane delle due ci racconta che, a seguito di informazioni
poco precise, era venuta a Gstaad, la scorsa primavera per vedere U.G.,
naturalmente non lo aveva trovato, così ora era molto contenta.
Ci chiedono un pò di informazioni tipo se U.G. riceve, come si svolgono
gli incontri con lui ecc. Tutte cose più che legittime da chiedere
da parte del nuovo arrivato.
Stiamo parlando da un pò quando dallo chalet esce U.G. che probabilmente
ha sentito le voci. Io gli vado incontro e gli chiedo se questa sera riceve.
"Certo, certo" è la sua risposta e ci invita ad entrare in casa.
Le due donne conoscono l'inglese meno di me così, oltre a fare gli
onori di casa, mi ritrovo anche a sostenere il ruolo di interprete.
L'incontro si protrae per un'ora circa, le due signore non hanno molte
domande o non le vogliono fare, così U.G. si rivolge spesso a me
parlando di questo o di quello. Mi rendo conto che probabilmente le due
nuove venute si sentono escluse, tanto più non capendo ciò
che si dice, ma per una volta decido di fare l'egoista anch'io e non mi
preoccupo più di tanto del loro supposto problema. Alla fine, nonostante
questo, sembrano molto soddisfatte, lasciano dei cioccolatini in dono a
U.G. che le ringrazia calorosamente. Uscendo chiedono di essere fotografate
vicino a lui. Poi tutti insieme scendiamo.
La domenica mattina saliamo per accomiatarci da U.G. e per salutare
Marisa che è arrivata proprio oggi. Alcuni amici partono lasciando
il posto a nuovi amici che arrivano.
SECONDA SETTIMANA
Eccoci di ritorno, prendiamo velocemente
possesso del nostro appartamento al Ludy house, grosso chalet proprio nel
centro di Gstaad, lo stesso che ci aveva indicato U.G. Un odore acre di
cibi e di chiuso pervade il pianerottolo dove vi sono le porte di ingresso
agli appartamenti. La camera è molto bella e pulita; lo scopre Teresa
dando origine ad un vano tentativo di pulire uno sporco che si dimostra
introvabile. Le finestre danno sulla via principale di Gstaad, oltre la
via vi è la grande piazza con i campi da tennis e, più oltre,
le scoscese dei pendii all'inizio di uno dei quali si trova lo chalet dove
risiede U.G.
Mi siedo in una comoda poltrona vicino ad una delle finestre e considero
che da lì posso avere una buona panoramica sullo chalet. Scherzando
dico a Teresa: "Da qui possiamo avere il "Darshan" (benedizione che si
dice le anime sante largiscano con la sola presenza) dell'illuminato senza
muoverci".
Alle 16 ci avviamo verso lo chalet, e nel salire mi prende subito un
pò di disagio. La stessa sensazione di sentirmi un estraneo in un
gruppo di amici che mi aveva colto gli anni precedenti. Forse U.G. mi aveva
regalato la prima settimana di vicinanza così intensa proprio conoscendo
le mie difficoltà per aiutarmi a superare i miei dubbi e la
mia titubanza.
U.G. ci accoglie gentilmente. Senza stravolgere l'andamento dell'incontro,
ci lascia sedere e poi ci chiede se siamo sistemati e se ci troviamo bene
nel nostro appartamento. A fine incontro, per vincere quel senso di disagio
e nonostante la stanchezza del viaggio, cerco di entrare almeno un poco
nella cerchia dei nuovi amici. Così, avendo riconosciuto tra i presenti
il professor Narayana Moorty, la cui foto avevo visto sul libro della
biografia di U.G., scambio qualche parola con lui. Moorty è uno
dei maggiori promotori delle pubblicazioni degli articoli riguardanti U.G.
su Internet.
Quest'anno abbiamo portato con noi la telecamera, U.G. stesso ci aveva
incoraggiato a questo la prima settimana. Ci aveva detto che ci sarebbero
stati anche Bob e Paul che avrebbero tentato di girare un filmato commemorativo
dei suoi 42 anni in Svizzera.
Agli incontri della sera Teresa conta mediamente più di 25/30
persone contro le 10 15 degli anni passati. C'è Mahesh Bhatt, famoso
regista indiano, autore della biografia di U.G., c'è il professor
Moorty con la moglie Wendy, Bob che conosce U.G. da 29 anni con l'amico
Paul, Gottfried Meyer con la moglie Bodil, Paul Sempé, Marisa, Julie,
Denise Desjardins e molti altri che sarebbe lungo elencare. Poi ci sono
i frequentatori relativamente nuovi, come noi, o qualcuno che viene per
la prima volta ad incontrare U.G. Siamo a luglio avanzato ed il tempo sembra
stabilizzato al bello; meglio, così gli incontri si tengono fuori
sul prato, se fossimo all'interno dello chalet U.G. dovrebbe compiere un
miracolo per farci stare tutti.
Mano a mano che i giorni passano comincio a percepire più forte
quel senso di disagio. Non deve essere solo un problema mio, U.G. stesso
sembra messo alla prova e fa durare gli incontri un'ora o poco più.
La cosa peggiora quando arriva un nutrito gruppo di ragazzi e ragazze tedeschi,
nonostante questo U.G. non si sottrae nemmeno ad un incontro.
Una sera, a sorpresa e con la sua consueta semplicità, U.G.
ci dice che Bob si esibirà in una serie di giochi di prestigio.
Bob, forse con un pò di riluttanza, affronta la platea e dà
inizio al suo spettacolo. Emulando un professionista tiene banco per una
ventina di minuti con dei divertenti trucchi, meritandosi alla fine il
nostro applauso. U.G. sembra molto soddisfatto dell'esibizione del suo
amico. Questi piccoli intermezzi sono indice della grande normalità
che regna attorno a U.G., sensazione che percepisco molto forte anche in
un'altra occasione, precisamente quando U.G. mi chiede di salire una mattina
perché pare che la macchina dei fax non funzioni più. Quando
arriviamo troviamo lo chalet pieno di gente. U.G. è seduto nella
solita poltrona e parla quietamente con Mahesh e alcuni altri; una
giovane ragazza è seduta a gambe incrociate su una branda che c'è
nel salotto e sta leggendo un libro, nella cucina attigua, non separata
dal salotto, Julie ed il professor Moorty stanno lavorando con il computer
e sopra a tutto e a tutti aleggia un'aria di serenità e di appagamento,
qualche cosa non di artefatto, ma di genuino, come dire: "Tutto è
come deve essere e tanto basta". Purtroppo questa volta fallisco nel mio
compito di "tecnico riparatore", ma a U.G. pare che la cosa importi assai
poco. Ancora più che la prima settimana ho la sensazione che quella
richiesta era più per fare piacere a me che non per una reale esigenza
sua.
La sera, venendo via, il mio sguardo incontra quello di U.G. e lui
mi largisce un sorriso, di una grazia tale che mi richiama subito
alle mente le parole di Arthur Osborne sul sorriso di Ramana Maharishi:
"Non si può descrivere la radiosità del suo sorriso.
Un affarista incallito lascerebbe Tiruvannamalai con un canto
nel cuore per quel sorriso. Una semplice donna disse: Non capisco
la filosofia, ma quando mi sorride mi sento sicura come un bambino
in braccio alla madre".
Sicuramente U.G. ha il suo bel da fare quest'anno a dividersi tra tutte
quelle persone, ognuna delle quali pretende da lui attenzione ed amicizia.
E forse proprio in questo "Pretendere" si radica il seme di quella tensione
che U.G. percepisce e fa sua. Nonostante questo lui appare, se possibile,
più radioso delle altre volte.
Una sera colgo una sfumatura che mi fa conoscere un lato inedito di
U.G. Si sta scherzando fuori sul prato, si parla di più
o meno validi guidatori. Qualcuno dice di Mario che lui guida bene. Mario
si schernisce: "Non sono bravo" dice "è solo perché c'è
U.G. vicino a me". U.G. che non ha capito chiede: "Cosa hai detto?" e quando
Mario ripete U.G. abbassa gli occhi in un gesto di umiltà.
Siamo ormai verso la metà della seconda settimana, quell'atmosfera
un pò tesa continua a perdurare, così, ultimamente, prima
di salire da U.G. abbiamo preso l'abitudine di controllare che sia già
andato qualcuno fuori dal giro dei suoi amici più stretti. Questa
sera abbiamo visto salire un tedesco, che è qui solo da quest'anno,
così ci avviamo anche noi verso lo chalet. Entriamo in casa e U.G.
con il salotto pieno di persone ci dice: "Questa sera non voglio parlare
con la gente." Mi fanno male queste parole, in quanto mi è palese
che alcune delle persone che sono lì, dal mio punto di vista, sono
"Gente". Infatti se per "Gente" si intende qualcuno che non sia della cerchia
dei suoi amici più intimi, in questo caso ve ne sono già
altri. Faccio finta di non avere capito, anche perché U.G. ha biascicato
la frase e non l'ha detta rivolgendosi direttamente a noi. Nel mentre arrivano
anche diverse altre persone, così U.G. dà seguito ad un incontro
normale.
Le nostre riprese cinematografiche intanto vanno avanti; Teresa, la
"Cameramen", ha già girato più di due ore di film, tenendo
il passo con Bob e Paul. U.G. ogni tanto li prende in giro dicendo
loro: "State registrando queste parole di saggezza per i posteri?" e Bob
precisa subito: "Sì ma le sto editando." "Tu le stai editando" ribatte
U.G. "Ma Lei no".
Arriva l'ultima sera, di queste due settimane un pò controverse
per quanto riguarda il mio rapporto con U.G. E' finito l'incontro
e passo a salutare tutti quelli con cui ho avuto un minimo di contatti,
ci scambiamo qualche indirizzo. Alla fine vorrei salutare U.G., lui sta
parlando con delle persone, mi metto di fianco a lui in attesa
che termini il suo discorso. Dopo parecchi minuti mi accorgo che U.G. non
mi vuole salutare, raggiungo Teresa e andiamo via.
Con il senno di poi mi viene da dire che probabilmente U.G. era davvero
in difficoltà a gestire tutte quelle persone e che, se l'avessimo
sollevato dalla nostra presenza, lui l'avrebbe gradito come gesto di sensibilità
e di intelligenza, ma al momento non sono stato tanto bravo da adottare
questa soluzione.
Dopo cena, per salutare Gstaad, facciamo la passeggiata che, costeggiando
il fiume, unisce Gstaad a Saanen; nei pressi di Saanen troviamo Robert,
un amico che avevamo invitato a cena una sera. Facciamo ancora una bella
chiacchierata con lui che ci racconta qualche ulteriore peripezia
della sua ricerca spirituale e poi ci conforta dicendo che noi tutti che
abbiamo accesso a U.G., che possiamo andarlo a trovare o che possiamo filmarlo
e via dicendo, siamo, in qualche modo, sotto la sua protezione. Non che
avessi bisogno di Robert per convincermi di una cosa del genere, ma il
fatto che questo mi sia stato detto, dopo l'epilogo non proprio glorioso
del mio quarto anno al cospetto di U.G., mi fa riflettere ancora una volta
su come vicino a lui tutto sembri seguire un corso benefico.
LONDRA.
Verso dicembre Teresa ed io
stiamo preparando il nostro viaggio di evasione, di una settimana, che
facciamo tutti gli anni in questo periodo. Improvvisamente mi prende
una voglia struggente di tornare a Londra; la cosa non era affatto nei
nostri programmi, perché finora si era pensato più ad un
luogo dal clima caldo. Quando espongo, un pò titubante, la mia proposta
a Teresa lei mi dice: "Ci avevo pensato anch'io". Ci piace questa
città nel periodo natalizio, con la sua atmosfera dolce e
festosa. Così diamo seguito alle prenotazioni del caso: biglietto,
albergo ecc.
Prima di partire chiamiamo Marisa per un saluto e da lei veniamo
a sapere che anche U.G è là. Dovrei essere sorpreso,
normalmente in questo periodo è in India o in qualche luogo dal
clima caldo, ma non lo sono. In qualche modo in quella strana ed improvvisa
voglia di Londra avevo sentito il suo richiamo.
Una volta lì non tardo a prendere contatti con lui, gli chiedo
se possiamo passare a salutarlo e lui mi dà le indicazioni per raggiungere
il suo appartamento, in Ovington Square. Dapprima sembra brusco, mentre
poi diventa dolce e premuroso.
La mattina dell'incontro fa molto freddo e c'è un vento pungente
che ci sferza il volto. Arriviamo in anticipo, così giriamo un pò
la piazza, prima di salire. E' una zona di lusso, con palazzi in stile
vittoriano, non lontano da Harrods. Alle 10 in punto saliamo da lui, ci
accoglie con un caldo benvenuto, sempre naturalmente nei limiti dell'espansività
di U.G. che, se da un lato ci fa capire che siamo realmente i benvenuti,
dall'altro ci riporta al nudo limite dei rapporti umani. Una eccessiva
e sdolcinata cortesia tradisce la sua vacuità se non addirittura
la sua falsità. La cortesia esagerata è spesso ricattatoria,
fatta a fini egoistici, per ottenere qualche cosa da qualcuno. Molto meglio
il suo approccio rude in apparenza, mentre nella sostanza è caldo
e genuino.
U.G. ci fa accomodare su un comodo divano. L'appartamento è
piccolo ma molto carino, situato all'ultimo piano di uno dei palazzi della
piazza. Dall'abbaino vediamo piccoli fiocchi di neve che hanno cominciato
a scendere. Gli chiedo come faccia lui, avvezzo al caldo, a sopportare
il clima rigido di Londra, mi risponde che in pratica non esce mai, dice
che lì non usa fare incontri come a Gstaad e che ha solo pochi contatti
con alcuni amici.
Si suppone che uno vada da U.G. per parlare di argomenti filosofici,
non è questo il caso, già faccio poche domande a Gstaad figuriamoci
lì; nonostante questo vedo che abbiamo abbastanza argomenti in comune
per poter parlare a lungo senza lasciare spazi vuoti durante la
conversazione.
U.G. ci fa vedere altri articoli che Moorty ha inserito in Internet
e ci racconta che è venuto il gruppo di amici tedeschi a trovarlo
e che lo hanno portato in giro per Londra. Ora sta aspettando Julie, che
verrà per rescindere il contratto dell'appartamento in quanto, a
fine settimana, anche lui lascerà Londra per l'India. L'abbiamo
preso appena in tempo.
Anche Teresa riesce a lanciarsi un poco con il suo inglese, facilitata
dal fatto di essere solo noi tre. Dopo due ore buone U.G. ci congeda,
suggerendo che potremmo tornare a fargli visita dopo un paio di giorni,
previa telefonata di conferma.
Il giorno convenuto ci portiamo in zona, quindi chiamo da una cabina
pubblica per avere la conferma da U.G. Mi dice che gli sono sopraggiunti
degli impegni e mi fissa l'appuntamento per l'indomani. Io sarò
troppo suscettibile, ma la cosa mi urta. "Come U.G." penso tra me e me
"Dici che non vedi nessuno, poi quando devo venire a farti visita io, mi
dici che hai un impegno; in fondo non abito dietro l'angolo, sono pur sempre
venuto da un paese straniero". Quando ci vediamo il giorno successivo mi
spiega per filo e per segno come sono andate le cose, dice che ha avuto
un imprevisto con il dottor Laboyer e altri impegni che hanno
condizionato il nostro incontro e conclude: "E' per questo che ho dovuto
chiedervi di spostare l'incontro."
La semplicità disarmante con cui lo dice, unita alla spiegazione
di fatti personali suoi che non era tenuto a dirci, mi fa vedere come ancora
una volta avesse percepito il mio disappunto ed inoltre quanto sia privo
di doppiezze e come sia trasparente ed impersonale. Tra l'altro la sua
spiegazione è così dettagliata che ad un certo punto penso
tra me e me: "Ma in fondo è un tuo diritto U.G. non mi devi giustificare
nulla".
Nel corso della discussione U.G. ci dice anche: "Voi siete sempre i
benvenuti". E questo risana il triste epilogo delle vacanze della scorsa
estate. Io rinnovo l'invito di ospitarlo in casa nostra, invito che gli
avevo già fatto in Svizzera, la sua risposta è possibilista,
ma non dice niente di definitivo.
Restiamo anche questa volta per un paio di ore e poi ci salutiamo con
un "Arrivederci in Svizzera". La nostra bella vacanza a Londra si
è colorata di significato. Stiamo così bene dentro di noi,
che non sentiamo più neanche il freddo polare che è
proprio di Londra in questo periodo.
CONSIDERAZIONI SU U.G. DOPO IL QUARTO ANNO.
Non sono sicuro di avere capito
il rifiuto di U.G. di salutarmi dopo le due ultime settimane di luglio.
Sebbene nutra per U.G. un grande affetto ed una grande stima, non sono
neanche rimasto male più di tanto, solo ho continuato a pensare
per lungo tempo, dopo essere ritornato a casa, se con quel
gesto avesse voluto dirmi o insegnarmi qualche cosa.
Ma forse quel rifiuto è stato solo una reazione del tutto spontanea
ad un atteggiamento sbagliato da parte mia. Devo anche dire che da febbraio
in avanti ho vissuto una situazione particolarmente dura e difficile nel
mio lavoro. Per vari motivi mi sono trovato vicino ad essere allontanato
dall'azienda per la quale lavoro. Questo micro trauma, è stato assorbito
anche grazie all'esperienza precedente. U.G. pure mi aveva rifiutato quando
non mi aveva voluto salutare. Quel rifiuto era stato in qualche modo una
sorta di lezione che mi aveva preparato al rifiuto più cruento che
avrei ricevuto in seguito. Ma in fondo sono solo ipotesi.
Ad ogni modo più conosco U.G. e più il mio affetto per
lui cresce. Emana una sorta di grazia che è difficile ignorare.
Non esiste nel suo sguardo fresco, il turbinio di sentimenti che si legge
nei nostri occhi e che rivela il gioco cruento delle passioni che
attanagliano l'animo umano. E quegli occhi privi di passione, lungi dall'essere
freddi e inumani, brillano invece di una luce calda che forse potremmo
chiamare compassione.
Mi rendo anche conto che la mia ricerca, partita dalla via dello Gnana
(conoscenza), oscilla ora tra Gnana e Bakthi (devozione), perché
non si può non provare amore per U.G.
La via dello Gnana, che è quella in cui andrebbe collocato U.G.
se accettasse di essere definito un saggio o un maestro, è
detta la via della conoscenza. E' una via di non facile comprensione,
come fosse una specie di università della ricerca spirituale.
Non vengono trattati problemi morali od etici, il problema di Dio stesso
si suppone essere già superato. Tutta l'attenzione è concentrata
sulla meta ultima, la ricerca dello stato finale, quello cioè che
la tradizione indiana chiama Moksa, mentre U.G chiama "Calamità".
Verrebbe spontaneo pensare che per accostare U.G. e per apprezzarlo
sia necessario questo grado di ricerca e di conoscenza precedenti. La realtà
è un'altra. Anche se la maggior parte degli amici di U.G ha questo
tipo di background alle spalle, vi sono casi totalmente diversi. Posso
citare l'esempio di Teresa sicuro di non fare un torto alla verità
ed alla cronaca. Lei, come ho già detto, non si è mai interessata
a queste cose e fra l'altro è molto più semplice di
me e non incline alle contorsioni intellettuali, eppure anche lei percepisce
in pieno la grazia di U.G. Questo, penso, è il vero valore aggiunto
della Sua presenza, non tanto le risposte o le argomentazioni intellettuali,
quanto la Sua fragranza e la Sua genuinità. E' calzante l'esempio
che fa U.G. paragonando persone come lui ad un Fiore. Cito alla lettera
dalla traduzione italiana di "La mistica dell'illuminazione".
"Invece quello che c'è qui, lo stato naturale, è
una cosa viva. Non può essere afferrato da me, è solo per
voi. E' come un Fiore. Si apre semplicemente. E' qui. E finché è
presente, possiede una fragranza che è diversa e distinta da quella
di qualunque altro Fiore. Voi potete non riconoscerlo questo Fiore. Potete
scriverci sopra odi e sonetti oppure no. Può essere mangiato o falciato
via, oppure può appassire ed è tutto finito."
Interessante anche l'ammissione "Voi potete non riconoscerlo".
Uno dei fatti che mi ha sempre colpito di più è il vedere
come alcune persone potessero accostare U.G. e non rimanere colpite dalla
sua grazia. Ma credo che questo sia normale per tutti i mistici ed i santi.
C'è un pizzico di esagerazione nelle biografie dei grandi; quando
si parla di questo fantomatico carisma che tocca tutti coloro con cui entrano
in contatto, la parola "Tutti" è una esagerazione.
U.G. stesso incontrò Ramana Maharishi, a cui si attribuiva proprio
questo tipo di impatto sulle persone e, da quanto racconta, lui non
lo sentì. Cito ancora da "La mistica dell'illuminazione":
"Ad ogni modo con riluttanza, controvoglia andai da Ramana Maharishi,
trascinato dal mio compagno. Mi disse: "Vieni almeno una volta. Qualcosa
scatterà dentro di te". Mi parlò di Lui e mi diede un libro
"India Segreta" di Paul Brunton; io lessi il capitolo che parlava di Ramana
- "E va bene, andiamo a vedere". Quando andai, Lui se ne stava seduto.
Trovatomi davanti a Lui mi dissi: "Come può aiutarmi quest'uomo
che legge fumetti, taglia le verdure, fa questo e quell'altro - come può
aiutarmi? Non può far nulla". Mi sedetti lo stesso. Non accadde
nulla; lo guardai e Lui mi guardò. Il mio amico mi aveva detto:
"In sua presenza sentirai il silenzio, le tue domande si dissolveranno
il suo sguardo ti trasformerà, ma tutte queste cose mi sembravano
solo chiacchiere e immaginazioni."
Bisogna anche dire che il lato dissacrante di U.G. può comprensibilmente
urtare certi cercatori ben pensanti, soprattutto se hanno un'idea preconfezionata
di come dovrebbe essere un maestro. In accordo con la cultura dominante
se lo aspettano ben educato, dai modi cortesi e pieno di buoni sentimenti
verso tutto e verso tutti. U.G. invece non blandisce nessuno, tanto meno
la cultura dominante, la sua forza sta nell'essere sempre se stesso e nel
non piegarsi alle convenzioni. Il fatto che questo possa piacere o no è
qualche cosa che non lo tocca. Non recita un ruolo a beneficio di nessuno.
Può succedere che usi un linguaggio molto crudo, accompagnato anche
da parole scurrili come in questo stralcio tratto dalle riprese fatte da
Teresa:
"Non ho niente da offrirvi, voi non otterrete niente da me perché
non c'è niente da ottenere, nulla da raggiungere. Tutte quelle
parole piene di merda, trasformazione, trasformazione radicale, i soliti
vecchi discorsi. Illuminazione, non mi interessa se qualcuno è illuminato
o no, perché non c'è qualcosa come l'illuminazione."
La distruzione dei modelli rappresentata sia dai maestri spirituali
sia dai grandi della terra, è uno dei compiti ai quali U.G.
attende con maggior impegno, non risparmia praticamente nessuno. Del suo
incontro con Ramana Maharishi suole raccontare:
"Ed infine posi la domanda: Questa così detta illuminazione
voi potete darmela?. Ramana non rispose ed io ripetei la domanda. A quel
punto, con monumentale, opaca arroganza, quel bastardo mi rispose: "Io
posso dartela ma tu puoi prenderla?".
Così chi ha occhi solo per la facciata, chi tiene conto solo
delle apparenze, lascia l'incontro più o meno disgustato e probabilmente
non torna più. L'uso di parole scurrili da parte di U.G. o gli attacchi
veementi contro i grandi, contro i modelli, non sono mai un fatto gratuito,
nè una semplice distorsione del suo lessico. Non è il nostro
tentativo di colorire il discorso, con l'intercalare di parole più
o meno dure. Si sente che non ha reale astio verso Ramana o verso altri
sta solo perseguendo in tutti i modi e con tutte le sue forze il suo fine
ben definito, a nostro beneficio. Mi succede anche una cosa strana, cosa
che probabilmente avviene anche agli altri che come me seguono U.G. La
mia stima per Ramana Maharishi non varia, mentre si evolvono e si chiarificano
parecchi dei concetti mentali che ho riguardo a tutta la faccenda spirituale.
La distruzione dei miti è dunque uno dei compiti che U.G. persegue
con maggior tenacia, io credo che lui stia provando a liberarci dai falsi
valori che ci portiamo dietro. Se noi non siamo disposti a lasciare i nostri
miti, se non siamo disposti a sacrificare i nostri attaccamenti, lui non
può fare niente per noi, così tanto vale che escluda subito
chi non ha la giusta predisposizione d'animo.
Come dice lui stesso la sua è una canzone di morte, non scende
a compromessi U.G. dicendo: "Venendo qui perderete tutto".
Ma non dimentichiamo che dice anche: "Non mi preoccupo di togliere
di mezzo quello che hanno detto gli altri, cosa fin troppo facile, ma mi
preoccupo di togliere di mezzo anche quello che dico io stesso."
Personalmente la sua apparente maleducazione non mi tocca e ringrazio
sempre la fortuna che, tra alti e bassi, nella vita mi ha fatto incontrare
anime bellissime. Uso deliberatamente la parola fortuna, perché
non credo di avere meritato un dono così grande. Eppure se dovessi
misurare oggi l'effetto che U.G. ha avuto su di me avrei delle difficoltà.
Primo dovrei sapere come sarei oggi se non avessi incontrato U.G. Secondo,
dove sta scritto che U.G. debba avere qualche effetto? Che diritto ho di
strumentalizzarlo per risolvere i miei piccoli problemi personali?
Come dice egli stesso:
"Quello che c'è qui (lo stato naturale) non può
essere strumentalizzato per nessuna crociata."
Mi rendo conto però che se ho compreso qualche cosa lo devo
a queste anime bellissime, non perché mi abbiano dato precetti o
spiegazioni, ma forse semplicemente perché la verità è
più forte, molto più forte, della menzogna.