L'ANTEFATTO
 

   Nell'estate del 1992 mi sono recato in Svizzera nella ridente valle del Saanenland e più precisamente nella cittadina di Gstaad. Questo viaggio era il naturale proseguimento di una ricerca iniziata  più di venti anni fa che mi aveva condotto ad esplorare la parte più accessibile a noi della cultura indiana e più particolarmente dell'Advaita Vedanta (Non dualità o monismo metafisico). La ricerca, sgorgata spontaneamente dai recessi del mio essere, si era  focalizzata su Ramana Maharishi che, per molti anni, era rimasto il mio unico punto di riferimento. La scoperta di "Io sono quello" il famoso libro con i dialoghi di Nisargadatta Maharaji, aveva negli anni recenti consolidato il mio legame con questa filosofia. Avevo sviluppato la convinzione che la così detta illuminazione esistesse realmente e che ci fosse un cammino da percorrere per raggiungerla. Ma procediamo con ordine: "Cos'è questo concetto verso il quale avevo indirizzato la mia ricerca?".
 Il termine ha matrice buddista, è stato coniato per descrivere lo stato di Siddhartha Gautama Shakyamuny (il Budda) e da lì in avanti di tutti coloro che si liberavano dalla morsa dell'illusione e dalla tirannia dell'ego. Il preesistente termine sanscrito dovrebbe essere Moksa o Mukti (Liberazione), mentre in occidente ha preso piede anche il termine auto realizzazione. Ma cosa si nasconde  dietro queste parole tanto esotiche e per noi occidentali un pò fantasiose? Il compito di dare una descrizione è impari; ci si  scontra con la necessità di dare nomi e forme a qualche cosa  che è la fine stessa del nome e della forma. Le parole tradiscono i loro limiti ovvero, come ricorda la tradizione taoista, "Il Tao che  può essere detto non è il Tao". Ed allora come tentare una così ardua impresa volendo descrivere in modo semplice qualche cosa che è più semplice della semplicità stessa? Mi accingo all'ingrato compito conscio di poter dare solo un vago accenno di quanto ho fin qui compreso.

  E' uno stato privo di pensieri, è uno stato privo di ricordi, è uno stato privo di aspettative. In questo non c'è il vuoto, ma c'è la nostra presenza e questa presenza è totale, assoluta, non essendo disturbata dal meccanismo psichico. La nostra presenza diventa come uno specchio, non essendo macchiata da pensieri, ricordi, aspettative, tutto quanto succede ci si riflette dentro. Se giriamo il volto la scena che vediamo è completamente nuova, perché la scena precedente non ha sporcato lo specchio in quanto, liberi dal ricordo e dall'aspettativa, non accumuliamo nulla. E' uno stato di grande libertà perché stiamo accettando il mondo così com'è, stiamo aderendo alle cose come sono senza interferire. Siamo così vuoti che non possiamo più stabilire se quanto succede sia fuori di noi o dentro noi; abbiamo perso il confine di noi stessi, "Noi siamo il mondo ed il mondo è noi". Con questo presupposto tutto ciò che sta succedendo sta succedendo a noi, quindi non possiamo più fare del male a niente ed a nulla; siamo costretti a curare tutto e tutti come prima curavamo noi stessi. L'amore di sé si è trasformato in amore del tutto. Inoltre questo stato è irreversibile, coloro che lo hanno raggiunto ci assicurano che mai, neanche per un momento, potranno più confondersi e  prendere le fantasie della mente per la realtà e questa realtà  non è altro che il mondo preso così com'è senza essere continuamente interpretato dal pensiero. La mente ed il pensiero rimangono, ma acquistano solo valore funzionale, ossia quando occorre cimentarsi in qualcosa di pratico, la mente è lì pronta a funzionare; viceversa non indulge a vuoto in fantasie nate dalla paura del dolore e dal desiderio del piacere.

 Tale era la panoramica che avevo acquisito leggendo Ramana Maharishi e Nisargadatta Maharaji. Dalla chiarezza delle letture avevo tratto la convinzione che un tale stato esiste realmente in qualche rara persona, ma da lì a trovarne una vivente era tutt'altro che facile, come d'altro canto ammoniva Nisargadatta:
 "Voi avete accostato anacoreti e asceti, ma un uomo pienamente realizzato è molto raro. I santi e gli yoghi, con sforzi immensi e  sacrifici, acquistano poteri miracolosi a vantaggio dei devoti, suscitandone la fede; questo tuttavia non li rende perfetti......".
 Quindi, il realizzato non è un uomo che sta percorrendo la strada della santità, piuttosto è un uomo arrivato al compimento di quella strada qualsiasi cosa questo voglia dire. Uomini in questo stato possono dare insegnamenti apparentemente diversi o anche antitetici, tuttavia, dietro al loro insegnamento, brilla una uguale certezza, quella della realtà che certifica l'esistenza tutta. Tutto il loro essere è intriso e permeato da questa realtà e questa è la grandezza e la forza di questi uomini.
 Poi la ricerca aveva subito un'accelerazione vorticosa, ero, per così dire, uscito dalla nicchia delle letture per muovermi infine e  cercare un riscontro diretto a quanto finora letto e capito. Vi era stato un viaggio in India, che mi aveva portato a coronare un sogno che da molti anni languiva dentro di me, la visita cioè all'ashram di Ramana Maharishi e, dopo questo viaggio, era emerso il bisogno di incontrare un personaggio vivente che incarnasse tutto  quello di cui sino al momento avevo solo letto.
  Nei dialoghi di "Io sono quello" uno degli interroganti citava un Sig. Douglas Harding che gli aveva dato la spinta necessaria a portare a compimento la propria ricerca, mentre un altro citava un non meglio identificato "Amico svizzero" che sembrava mostrare i segni della realizzazione. In entrambi i casi avevo desiderato  intensamente poter venire in contatto con queste due persone. Non sapevo, né speravo certo, che il mio sogno si sarebbe realizzato; Douglas Harding era solo un nome sulla carta e "L'amico svizzero" non aveva neppure nome.
  Gli eventi si evolvono, la casa editrice "Aequilibrium" pubblica un libro "La mente è un mito" che è una serie di dialoghi con un indiano che gira per il mondo. Trovo il libro un pò disarticolato e criptico; l'indiano, tale U.G.   Krishnamurti, sembra presentare tutti i segni della realizzazione, ma il suo insegnamento è molto negativo, nega la realizzazione, nega di essere un realizzato, nondimeno ammette di essere passato attraverso un'esperienza straordinaria che, a volte, chiama "Calamità", a volte, chiama "Il miracolo dei miracoli". Sottolinea con forza che quanto è successo a lui non è riproducibile e tanto meno trasmissibile e soprattutto si scaglia veementemente contro il tentativo di fare rientrare quanto gli è successo nella sfera mistico/religiosa.
Uno dei compiti più difficili per me (ma penso non solo per me) è di stabilire chi è realizzato e chi no, penso che non esistano parametri validi e, per quanto mi riguarda decido di affidarmi all'intuito. L'unico strumento che ho a mia disposizione, nel caso specifico, è il libro e i miei punti di riferimento restano Ramana Maharishi  e Nisargadatta Maharaji. Da quanto si evince dal libro decido che, al di là di una discordanza di forma, vi è una prevalente somiglianza di sostanza tra gli insegnamenti dei tre personaggi.   Inoltre, grazie ad una serie di circostanze, riesco anche a sapere che  U.G. (cosi è chiamato da chi lo frequenta) è in Svizzera ogni anno, per uno o due mesi, nella ridente cittadina di Gstaad. Lì ci si può recare a trovarlo per porgli domande o semplicemente a fargli una  visita.  Come dicevo all'inizio, andare è d'obbligo; è la normale evoluzione della mia ricerca, finalmente posso vedere dal vivo "Quello" riguardo al quale ho tanto letto e tanto pensato.
 

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