TERZO ANNO.

   Quest'anno abbiamo preso due settimane di ferie, le tre dell'anno precedente ci sono sembrate veramente troppe. Non so Teresa, ma io sono carico di aspettative visto che, l'anno scorso, siamo riusciti un pò a rompere il ghiaccio con U.G. forse quest'anno riusciremo a raggiungere una confidenza maggiore e  lui ci dimostrerà un pò più di benevolenza.
Il sabato pomeriggio saliamo da lui, non ci siamo assicurati se ci sia oppure no, ma oramai io ho la certezza interiore che U.G. non ci abbandonerà o comunque se lo farà sarà per il nostro bene. Saliamo e troviamo Marisa, una signora che avevamo conosciuto di  sfuggita il primo anno, che legge un libro sul prato davanti allo chalet. Salutiamo e chiediamo subito di U.G.
Marisa ci dice che è letteralmente "fuggito" in Inghilterra, per una settimana, per evitare l'assedio dei ricercatori e che arriverà mercoledì. Ci fermiamo a parlare con Marisa che ci fa entrare nello chalet.  Marisa conosce molto bene U.G.; sono circa 20 anni che lo frequenta e lo ha ospitato anche per lunghi periodi a casa sua a Roma. Ora starà con lui per diverse settimane, dandogli una mano nella gestione della casa. Ci racconta molte cose, così veniamo a conoscere più particolari su U.G. tramite lei che non nei due anni precedenti. Stiamo ancora un poco con lei poi scendiamo per cercarci un ristorante.
Nei giorni successivi abbiamo ancora molte occasioni di parlare con lei. Un giorno ci racconta che ha ricevuto una telefonata dalla Svezia, da un indiano che chiedeva se in casa c'è il frullatore, in quanto deve venire con la moglie a cucinare per U.G. Lei è un pò stupita perché non ne sapeva niente, ma con U.G, dice, non c'è niente di prevedibile.
Ci piace frequentare Marisa, si dimostra una persona molto profonda ed intensa, ed ascoltarla è un piacere. Parlando con lei scopriamo che ognuno dei frequentatori ha un concetto diverso di U.G. Lei, che lo conosce molto bene, ne vede tutti i tratti caratteriali e sa essere anche molto critica verso di lui. Ci dice di altri amici che sono convinti che U.G. sia onnipotente e controlli il destino delle persone e delle cose. La mia posizione non è ben definita, sicuramente per tutto quello che fa o dice riesco a trovare analogie con Ramana Maharishi e Nisargadatta Maharaji.
Mentre aspettiamo U.G., ogni tanto, la sera, prima di dormire, leggo qualche pagina del libro "Io sono quello". U.G. dice che leggere questi libri non serve a niente, ma io ho troppo desiderio di queste cose e poi Nisargadatta mi piace molto, così decido di non dare ascolto a U.G.
Arriva il giorno del ritorno di U.G. e la sera affronto con Teresa  la leggera salita che ci porta allo chalet. Sono combattuto tra due pensieri, da una parte vorrei andarmene e  lasciare perdere U.G. e tutta la faccenda, dall'altra ho il  desiderio di essere accolto bene da lui.
Arriviamo che c'è solo Marisa ed una altro amico con la ragazza; U.G. sta bruciando delle carte in un barbe-que sul prato fuori dallo chalet, mi vede e quasi mi ignora, mentre sta passando con le carte da bruciare mi dà un'occhiata di sfuggita, mi chiede come va  e procede verso il fuoco, senza neanche aspettare la mia risposta. Confesso che sono rimasto male, mi aspettavo un'accoglienza un pò più calorosa.
Arriva altra gente e, visto che il tempo volge al brutto, U.G. ci invita ad entrare in casa. Nel corso della prima giornata sto veramente male: mi sento a disagio, mi agito sulla sedia, vorrei andarmene e non ne posso più che l'incontro finisca. U.G. non mi aveva mai fatto un effetto così. Sono veramente deluso ma raccolgo anche la prima lezione dell'anno: "U.G. non vezzeggia  il nostro ego". Il desiderio di essere riconosciuto, salutato e ben accolto, è solo un desiderio piccolo e meschino, nato dal mio egoismo, se è quello che sto cercando ho scelto il posto sbagliato.
 Il giorno dopo sono un pò più rilassato; ad un certo punto arrivano delle persone che probabilmente non piacciono a U.G. In questi casi sa essere veramente antipatico, diventa scurrile e denigratorio all'inverosimile e continua finché le persone salutano e se ne vanno; dopo di che cambia registro e diventa dolce ed amabile come è solitamente.
Il terzo giorno ci si trova fuori sul prato, preferisco gli incontri all'aperto, mi danno più l'idea di qualche cosa di informale e meno impegnativo. Dopo poco arrivano altre persone ed  io mi sposto per ampliare la cerchia, affinché anche gli ultimi arrivati possano essere in prima fila; purtroppo quasi nessuno si  sposta e ciò mi rende furibondo per l'insensibilità della gente che pensa solo a se stessa. Finisco per passare io in seconda fila così non vedo più U.G. e continuo ad essere furibondo. Però dentro di me sento anche un senso di benessere. Ad un certo punto, mentre un raggio di sole mi carezza piacevolmente il viso dopo avere attraversato i rami della grande pianta che da ombra a tutto il prato, ho la netta sensazione di trovarmi di fronte a qualche cosa di straordinario e di unico.
E' come se vedessi dall'esterno questa scena che si sta verificando in qualche punto dello spazio e del tempo, mentre lì che parla  potrebbe esserci Socrate o Gesù o qualsiasi altro grande maestro. Sento di essere fortunato, veramente fortunato ad essere lì e sono contento di avere portato con me  anche Teresa.  Penso che, se dovessi morire ora, la cosa più importante e più bella della mia vita sarebbe stata incontrare U.G. Non che qualche cosa sia cambiato in meglio, tutto è come prima,  ma lì c'è qualche cosa di vero, di essenziale, qualche cosa che non so ancora comprendere pienamente.
Intanto devo notare con sconcerto che, da quando è tornato U.G., non ho più aperto il libro di Nisargadatta. Non so cosa dire, quel libro per me è eccelso, ma lì non ha senso. Forse, pensandoci bene, non potrebbe essere che così: stare con U.G. equivale a stare con Nisargadatta ed allora che senso ha leggere un libro di qualche cosa che sta avvenendo ora? E' come se stessi vivendo un viaggio avventuroso e nel contempo leggessi il libro che racconta lo stesso viaggio, sarebbe assurdo.
Un'altra piccola lezione mi attende in uno degli incontri successivi.Quando si prende posto io cerco sempre di mettermi non davanti e non su una poltrona (se l'incontro si fa in casa ci sono anche alcune poltroncine.)  Oggi sono seduto su una sedia quando arriva Paul Sempé, un anziano marinaio di Marsiglia molto legato a U.G. Ci si sposta per fare posto a Paul (e noto con piacere che almeno per Paul anche gli altri si spostano); io prendo l'ultima poltrona, che è rimasta inutilizzata contro il muro, e chiamo Paul affinché vi si sieda. U.G. quasi con veemenza si rivolge a me e dice: "No! quella è tua".  La lezione che ne traggo è "Piantala di pensare troppo agli altri".  Forse ci sono persone a cui bisogna insegnare a pensare di più al loro prossimo e forse ci sono persone a cui bisogna insegnare a pensarci di meno. La forza con cui U.G. mi ha letteralmente aggredito, quando normalmente mi ignora, e l'autorità con cui lo ha detto, mi fa dare questa interpretazione a quanto è accaduto.
Paul, come Marisa e come tutti quelli che conoscono U.G. da tanti anni, è una persona squisita, quando c'è lui ogni tanto fa delle domande profonde,  ma quest'anno sembra che U.G. abbia meno voglia degli anni precedenti di parlare di queste cose e fa ruotare  velocemente il discorso su argomenti più frivoli. Vedo che fa molta attenzione a tenere l'uditorio allegro e quando vede qualcuno eccessivamente serio gli dice di non esserlo.
E' arrivata frattanto la cuoca dalla Svezia con il marito. Quest'anno, per la prima volta, grazie anche a Marisa, ci rendiamo conto dell'attività intensa che gravita attorno a U.G. Non c'è rumore, non c'è affarismo, eppure un sacco di cose accadono ed un sacco di persone gravitano intorno a lui ed il tutto avviene sempre in un'atmosfera di grande normalità.
Un altro piccolo particolare mi colpisce durante un incontro fatto fuori, sul prato. U.G. è seduto a ridosso del marciapiede dello chalet, ed esattamente sotto la sua sedia vi è un formicaio. Le formiche si muovono con grande operosità girando attorno ai suoi piedi nudi. Io noto che U.G. è terribilmente vicino con i piedi al formicaio, ma non mi sento di avvisarlo, la signora svedese invece lo nota e l'avvisa con un pò di allarmismo. U.G. guarda sotto la sedia e dice, scherzando: "Oh! non importa io e le formiche non ci disturbiamo". Quindi, noncurante, torna alla discussione.
Se avete mai trattato con le formiche, per esempio a casa vostra, avrete notato cosa succede quando sono ammassate e per qualche motivo voi le disturbate, avrete visto in quanto poco tempo le formiche si disperdono fino a sparire completamente. Non così per U.G., nel corso dell'incontro lui muove i piedi fino a toccare il cumulo di formiche più vicine al nucleo del formicaio, queste si muovono un poco, come se fossero state spostate da un leggero vento, poi tornano a lavorare indisturbate. Analogamente, muovendo i piedi, ogni tanto va ad appoggiarli su un  gruppo di formiche che si stanno muovendo o che sono ferme, le  vedo sparire sotto il piede di U.G., che magari resta immobile per  un pò, poi lo ritrae strisciandolo; tolto il piede le formiche tornano a muoversi come se nulla fosse successo.
Se lì ci fossi stato io assicuro che, quando avessi ritratto il piede, ci sarebbe stata marmellata di formiche. Altre, poche per la verità, gli salgono sui piedi e per un pezzo della gamba per poi ridiscendere. U.G. non fa mostra di accorgersene.
La mia scoperta di U.G. è fatta di tanti piccoli particolari che  colgo stando alla sua presenza. Perché U.G. possa violare una legge biologica, (la paura che le formiche hanno dell'uomo) ed una legge fisica (la pressione del   piede su di esse che non le schiaccia) non lo so! Ognuno tragga le conclusioni che meglio crede, dal canto mio sto solo descrivendo ciò che ho visto.
Nel corso dei giorni comincio a percepire qualche cosa: U.G. è veramente indifferente a tutto ed a tutti ed, apparentemente, mostra verso di noi quasi più antipatia che simpatia. Continua a "strigliarci"; ci rimprovera perché vogliamo cambiare, perché vogliamo essere diversi da quello che siamo. Ci dice che proprio la nostra ricerca ci tiene lontani dalla meta verso la quale siamo tesi. Comincia a fare capolino in me una percezione: lì c'è qualche cosa di vero, qualche cosa di reale, e noi tutti con le nostre richieste, con le nostre domande non facciamo altro che disturbare questa realtà. Mi si affaccia alla mente una scena della mia infanzia: un laghetto alpino ai piedi di un ghiacciaio, tutto chiuso tra rocce e montagne, e tutt'intorno un silenzio totale, interrotto solo dai tonfi sordi di qualche sasso che, di tanto in tanto, si stacca dai ghiacci per cadere nel lago. Vedo lo stato di U.G. come questo grande silenzio, questo grande ordine, questa grande pulizia e vedo noi come un'orda di turisti indisciplinati che lordano e feriscono il silenzio e la pulizia con i loro stupidi chiacchierii e con la loro invadenza.
Vedo anche il silenzio immobile, incrollabile, tornare dopo ogni rumore, il silenzio è vero, duraturo, eterno, i rumori, sono falsi, temporanei, irreali, singhiozzi di dolore in un oceano di pace. Quale assurda pretesa la nostra ricerca dell'illuminazione! Siamo di fronte a qualcosa di così perfetto, di così grande che il solo nominarlo lo altera. Vedo che siamo tutti come bambini che si rifiutano di crescere restando attaccati puerilmente ai giocattoli e, tra questi giocattoli, adesso c'è questo nuovo gioco che chiamiamo illuminazione. Sicuramente la nostra ricerca parte da un punto di vista egoistico, stiamo solo cercando di migliorare il posto al sole che la vita ci ha assegnato. Queste rapide riflessioni mi scorrono davanti mentre sono lì alla  presenza di U.G.
Un giorno stiamo salendo allo chalet e superiamo un signore molto anziano, stimo che abbia più di ottant'anni e mi chiedo se stia salendo anche lui da U.G., ma la cosa ha poca importanza. L'incontro è fuori, sul prato e siamo lì da una quindicina di minuti circa quando, un pò affaticato e con passo lento, arriva l'anziano signore. U.G. l'accoglie con aria festosa, si alza, gli procura personalmente una sedia e si assicura che si sia ben accomodato. Dopo alcuni minuti U.G. gli chiede: "Da quanto tempo sei   qui?". "Da tre settimane!" è la risposta. "Quando partirai?" continua U.G. "La prossima settimana!" risponde il signore anziano. Dopo queste brevi frasi in cui, devo dire, ha dimostrato molto calore, U.G. cambia interlocutore. Passano circa 5 minuti, o poco più, il signore anziano si alza, saluta  U.G. che lo ricambia ancora calorosamente e quindi si appresta al ritorno.
Alla fine dell'incontro, prima di scendere, Marisa ci racconta i retroscena di quel simpatico episodio: "Sono 20 anni che quel signore viene a trovare U.G., sempre alla terza settimana e sempre per una manciata di minuti, dice che questo incontro lo rende molto felice e lo fa stare tanto bene;  sono pure  20 anni che U.G. gli fa le stesse due domande, comunque dice che, tra le persone che lo visitano, quella è una delle preferite perché si ferma poco e non  fa domande.
Per dare una panoramica completa della vita lassù bisogna dire tutto fino in fondo, rischiando di ferire i benpensanti o i trop a come un gioco. In ogni caso è sempre attento a non denigrare e ferire chi di queste cose ne ha fatto la propria professione.
Sto vivendo questo terzo anno in modo diverso dai precedenti. Sento in modo acuito l'effetto attrazione repulsione di U.G. All'inizio mi ero riproposto di saltare qualche incontro, se non addirittura di non salire più da U.G., invece sto capitolando nel modo più totale, aspetto solo che arrivi l'ora dell'incontro. D'altro canto anche Teresa, che sente meno l'effetto repulsione, spinge verso U.G. e nel mio intimo questo forse mi fa piacere. Gstaad è un posto bellissimo per passare le vacanze, ma la vera vacanza è U.G. Nondimeno ogni tanto mi coglie la voglia di andare e di lasciare   perdere tutto. Comincio a percepire che, buttare tutta la ricerca e con lei U.G., equivarrebbe all'essere arrivati alla meta, ma forse non sono ancora pronto.
Ogni tanto faccio anche un pò di autocritica per assicurarmi di  non perdere il lume della ragione e non cadere in qualche infatuazione mistica, dove ogni senso critico viene bandito, per una devozione cieca verso il messia di turno. A mio modo di vedere, queste cose possono portare anche a finali dalle tinte fosche se non addirittura a tragedie. Per esempio: se e quando ci si rende conto di avere fatto un grande investimento di fede nella persona sbagliata; senza arrivare ai casi limiti come quello della setta: "Il tempio del popolo" capeggiata dal reverendo Jhones che finì con un suicidio di massa. No, non è proprio questo il caso, sono troppo diffidente e quadrato, e soprattutto U.G. non è certo un plagiatore di folle che tenta di assopirci chiudendoci gli occhi, anzi credo che U.G. stia tentando l'esatto contrario, quello cioè di aprirci ad una  comprensione più vasta e più vera. In una società che ci inquadra  costantemente, in un mondo che ci chiede sempre qualche cosa, in una cultura plasmata da mille ideologie, quest'uomo sembra esortarci inesorabilmente ad essere noi stessi, veri fino in fondo e non una  patetica caricatura di ciò che siamo.
U.G. è molto attento a non darci direttive, o se preferite a non nutrirci di false speranze. Forse, proprio il suo continuo tentare di scoraggiarci fino al   punto di mandare via le persone e quel sentimento di "repulsione" che sentiamo, è proprio dovuto alla sua costante attenzione  affinché nessuno si alieni dalle proprie responsabilità adagiandosi sul morbido letto di una fede cieca. E' anche vero che se, nonostante un insegnamento così negativo, lui è perseguitato da un nutrito gruppo di ricercatori, pensiamo cosa succederebbe se si mettesse a dispensare messaggi di speranza e di ottimismo. Se il suo insegnamento fosse più positivo U.G. avrebbe intorno un nugolo incontenibile di ricercatori che lo bombarderebbero con richieste senza fine.   Poi c'è Teresa; io potrei lasciarmi ingannare, visto il mio interesse  per queste cose, ma lei per me diventa la "Prova provante" visto che non ha questo tipo di interessi, nè le sono venuti con il tempo.
I giorni scorrono veloci e da qualche tempo sto rimuginando in me un'obiezione a quanto U.G. dice. lui afferma spesso: "Non c'è nulla qui, non c'è nulla lì", dove con "Qui" indica se stesso e con "Lì" indica l'interlocutore. Ecco io ho la sensazione fortissima invece che, "Qui", dietro i costrutti mentali, dietro le definizioni culturali, ci sia qualche cosa. Questo non c'è niente" Lì" mi suona come se U.G. dicesse "Tu non esisti", ma io "qui ed ora" ho la certezza assoluta di esistere. "U.G. ti stai sbagliando!".
La questione mi turbina dentro da qualche giorno ed agli incontri questa obiezione tenta di uscire, ma  poi è soffocata un pò dalla mia timidezza ed un pò dal mio inglese che continuo a non padroneggiare. Una sera sono piuttosto determinato ad esprimere il mio dubbio, ne ho parlato anche a Marisa senza però dirle il contenuto. Siamo all'incontro già da parecchio e ad un certo punto, mentre la  discussione langue, U.G. si rivolge verso di me e dice: "Allora signore?". E queste sono le piccole cose che mi stupiscono sempre, in tre anni non si è mai rivolto a me se non per chiedere dove ero alloggiato oppure quanto tempo rimanevo a Gstaad, invece questa volta butta lì questo "Allora signore?" come se sapesse che ho qualche cosa da sottoporgli. Non sono abbastanza veloce a cogliere l'opportunità e glisso perdendo l'occasione; per fortuna è Marisa che, dopo un pò, risana la situazione, si alza, si siede vicino a noi dicendo: "Mi sposto per tradurre perché lui (indicando me) ha qualche cosa da chiedere". Sono con le spalle al muro, non posso più esimermi e pongo la mia domanda.
"U.G., quando tu asserisci: "Non c'è niente" Lì" non capisco perché a me sembra che "Qui" ci sia qualche cosa!". "Cos'è che c'è lì?" prosegue U.G.   Rispondo: "Io non so cosa, ma sento che qui.....". U.G. mi interrompe: "Sentire non significa nulla vedi, sentire è ancora pensare. Tu vuoi  usare la parola sentire e fai questa distinzione tra pensare e sentire, ma entrambe sono la stessa cosa. Non potrai mai conoscere i tuoi sentimenti fintanto che tu usi il pensiero, non importa di che sentimento si tratti: felice, infelice,   miserabile o altro".
Intuisco che mi sta rispondendo con uno dei suoi aneddoti abituali, lo interrompo ed aggiungo: "Ma tu vuoi dire che non esisto? Quando tu dici: "non c'è niente lì ....", U.G. mi interrompe a sua volta e risponde di rimando:
"Niente lì che debba essere cambiato. Tu sei solo interessato a cambiare qualche cosa; migliorare, cambiare, modificare, trasformarti in qualche cosa di diverso da quello che sei. Lì non esiste altro che questo tuo tentativo di cambiamento. Questo è quanto io sottolineo tutto il tempo, questa è l'unica cosa che vi è. Se questa tua domanda di cambiamento non è presente quello che resta è molto difficile da vedere e da sperimentare.
Tu non puoi sperimentare niente a meno che non abbia la conoscenza di quello che stai sperimentando. Ciò che non conosci non puoi sperimentarlo e tutto quello che conosci è tutto ciò che è stato immesso in te dalla cultura; tutto ciò che gli altri hanno detto e pensato, indipendentemente da chi siano gli altri.  Ecco perché io parlo di cose semplici: perché il tavolo è qui, questo   maglione è beige ecc.. Sai, gli occhi fisici non guardano al maglione  come beige. La separazione avviene solo quando la conoscenza che hai delle cose là fuori e qui dentro diviene operante, altrimenti tu non avresti modo di conoscere nulla nè di sperimentare nulla, neanche le cose più  semplici, nella tua vita. Che quel prato è verde tu non lo sapresti  mai a meno che guardi a quello come verde; chi ti ha detto che è verde? Non sto dicendo che non sia verde e che sia rosso, blu, o bianco, ma il fatto è che noi siamo stati educati in questo modo. Ogni volta che tu guardi al prato tu lo chiami verde, perché devi fare ciò? Nessuno te lo chiede, perché devi comunicare con te stesso tutto il tempo, mantenendo così questa divisione in te? Questo è il dialogo, per usare un termine altisonante, che si protrae all'interno di te.
Se tu non conoscessi che sei infelice, che sei miserabile, che sei avido, che sei questo o quello, se non conoscessi che quello è verde o blu o bianco, che io sono uomo e che quella è una donna, se tu non conoscessi tutto questo, tu  non ci saresti! Così tu puoi esserci e mantenere quell'identità tutto il tempo, sia che sia sveglio sia che stia dormendo, solo attraverso la conoscenza che hai delle cose. E questa conoscenza è stata messa in te dalla cultura o dalla società.
Se tu non facessi questo, anche per una sola frazione di secondo, tu, come conosci te stesso e come sei solito sperimentarti saresti finito. Non ipotizzare cosa troverai quando la conoscenza sarà andata via, non stare a sentire quelli che ti parlano di beatitudine, immensità, amore, non credergli, tu non potrai mai sapere cosa troverai in quel momento perché tu non ci sarai.
In questo senso io  posso dire non c'è niente qui non c'è niente lì ma tu non puoi  dirlo! Come puoi dirlo?".
Anche questo terzo anno volge al termine, è l'ultimo incontro e prima di accomiatarmi, chiedo a U.G. se possiamo salire l'indomani  mattina prima di partire per salutarlo. "Certo certo" è la sua risposta.
L'indomani siamo da lui. Ci fermiamo un attimo e ci accomodiamo nel salottino che conosciamo  bene; mi sento tranquillo perché c'è anche Marisa, quindi non sono esposto ai rischi del mio inglese. Riusciamo a fare quattro chiacchiere di carattere generale; U.G., caso strano, ci chiede se siamo mai stati in India. Rispondo di sì, nel 1991 e gli enumero le città che abbiamo visitato: Madras, Bangalore, Tiruvannamalai, (la città dove c'è l'ashram di Ramana Maharishi), quando pronuncio il nome di questa città U.G. sopprime quel poco di interesse che aveva mostrato nel chiederci qualche cosa di   personale e cambia discorso.
Verso la fine U.G. mi chiede se penso di ritornare il prossimo anno. L'anno scorso avrei detto: "Sicuramente!", quest'anno rispondo "Probabilmente."   Non so perché e non ricordo se subito dopo o se dopo qualche  momento, fa la stessa domanda anche a Teresa. Non so Teresa cosa avrebbe risposto l'anno scorso, quest'anno comunque risponde "Può essere." Nel frattempo è arrivato anche Paul, ma noi siamo in partenza e stiamo salutando. U.G. ci saluta dalla sedia senza alzarsi, io comunque do la mano a Paul, visto ciò, U.G., forse ricordandosi che noi occidentali usiamo darci la mano, si alza e ci dà la mano anche lui.
A Marisa diamo un bacione perché se lo è meritato. La sera prima abbiamo avuto una bellissima conversazione, tanto che, scherzando, le ho detto: "Marisa sei tu che illumini lui o è lui che  illumina te?".
Volgiamo le spalle allo chalet, a Gstaad ed alla ridente valle del  Saanenland.

CONSIDERAZIONI SU U.G. DOPO IL TERZO ANNO.

    In assoluto è la volta che siamo stati meno da U.G., in quanto il primo anno siamo stati due settimane, anche se non consecutive, il secondo anno tre, e quest'anno neanche una decina di giorni. Ma forse, se ci penso bene, è l'anno che ho avuto di più, forse le mie grandi aspettative non sono state tradite, forse ancora una  volta U.G. ha avuto ragione.
Non sono migliorato e non è migliorata la mia vita, ma una domanda si affaccia alla mia mente: Io e la mia vita dobbiamo proprio migliorare? Cosa vado cercando, cosa c'è che non va in me o nella mia vita? E che senso ha cercare una vita sempre più piena, sempre più ricca?  Non è forse la vita soggetta ad alti e bassi? Che pretesa una felicità perenne! Questa continua ricerca mi impedisce di gustare le piccole grandi cose che già possiedo e ne ho tante; Dio se sono tante, e quasi non le vedo! E tutto questo continuo cercare, tutto questo agitarsi, che rumore, che disordine, che chiacchierio continuo che turba il  silenzio e la pace che ci sono già!
Non c'è un'illuminazione da acquisire, anzi non c'è proprio nulla da acquisire, semmai c'è da tralasciare. Tralasciare le montagne di cose inutili che ci turbinano nella testa, tralasciare le montagne di cose inutili che accatastiamo fuori di noi. Ho capito cos'è un illuminato; un illuminato è un uomo vero, vero perché vive dell'essenziale, vero perché nè mentalmente nè fuori di sé si contorna di cose futili. E' un uomo con i piedi saldamenti piantati per terra, che non si illude di raggiungere una perfezione che non esiste, che accetta totalmente i suoi limiti e le sue debolezze, che non si lascia soggiogare da modelli culturali. E' fedele a se stesso e quindi completamente in pace con sé e con il mondo. Non alimenta conflitti in sé e quindi neanche fuori di sé.
Un illuminato è la normalità fatta uomo e questa normalità si può indicare come il "Miracolo dei miracoli", mentre per la cultura e per la vecchia personalità è una "Calamità". Non scherza U.G. quando dice:
"Perché cerchi questa cosa, essa è la fine di te per come sei solito conoscerti e sperimentarti. Non puoi volere una cosa del genere, ed il cumulo di romanticherie  che hai in testa non c'entra niente con quello che c'è qui."
E vero, l'illuminazione è la morte civile, eppure per qualche strano motivo, in un certo momento della nostra vita, ognuno di noi la cerca. E comunque nessuno è immune da questa ricerca, lo ha detto U.G.,  ma questo, giuro, l'avevo già pensato prima di leggerlo su uno dei suoi libri, sia che stiamo cercando una bella macchina, una bella donna, un posto di potere, l'illuminazione o qualsiasi altra cosa, il principio è lo stesso. Non siamo soddisfatti di ciò che abbiamo.
Per qualche strano motivo pensavo che la ricerca  dell'illuminazione fosse più nobile delle altre ricerche, ora so che non è vero, tutte nascono dalla nostra insoddisfazione. E forse la via d'uscita, se mai ci sarà una via di uscita, consiste proprio nel riuscire ad accettarci così come siamo, non con uno sforzo volitivo, che sarebbe ancora una pretesa della vecchia personalità, bensì con una comprensione più grande e più matura verso noi stessi. In questo "Comprendere" forse troveremo che non dobbiamo accettare  solo noi stessi ma il mondo intero, perché in definitiva, noi siamo il mondo e questo sarà forse l'apice del nostro amore.
Oggi U.G. è poco conosciuto, non so se il suo pensiero rivoluzionario sarà svelato in futuro, se sarà studiato e se attorno  a quello che ha detto si creerà una grande scuola di pensiero. Nemico come è delle istituzioni religiose e delle scuole di pensiero, U.G. ci assicura che non avremo modo di usare quanto ha detto per  nessun fine.
Per me U.G. è un grande saggio, anche se non mi lascerò tentare dal desiderio di dire "Il più grande" o di usare le frasi sfruttate  all'inverosimile per troppi mistici del tipo: "Le generazioni  future non potranno credere che un tale uomo sia esistito", oppure "Che saremo contenti di essere stati gli uomini dell'epoca di U.G."
Quando leggevo e studiavo questi argomenti, un tempo, solevo fare valutazioni chiedendomi se un maestro fosse più grande di un altro e se l'aiuto di uno sarebbe stato più efficace di quello di un altro. Ora ho cancellato questo modo di pensare ed anche questo è un dono di U.G. Ho capito la frase di Nisargadatta: "La stessa acqua è in tutti i pozzi". E' infantile attribuire voti ad un saggio, e misurarlo in   termini di maggiore o minor grandezza. Ogni saggio è l'espressione vivente di uno stesso principio e questo principio "E' quello che E'" dopo che tutte le definizioni  se ne sono andate. Di lui nulla può essere detto, se viene definito, quella definizione è per forza di cose falsa. Non ha utilità pratica, ma la Sua esistenza è il prerequisito alla creazione.

Avanti