Quest'anno abbiamo preso due
settimane di ferie, le tre dell'anno precedente ci sono sembrate veramente
troppe. Non so Teresa, ma io sono carico di aspettative visto che, l'anno
scorso, siamo riusciti un pò a rompere il ghiaccio con U.G. forse
quest'anno riusciremo a raggiungere una confidenza maggiore e lui
ci dimostrerà un pò più di benevolenza.
Il sabato pomeriggio saliamo da lui, non ci siamo assicurati se ci
sia oppure no, ma oramai io ho la certezza interiore che U.G. non ci abbandonerà
o comunque se lo farà sarà per il nostro bene. Saliamo e
troviamo Marisa, una signora che avevamo conosciuto di sfuggita il
primo anno, che legge un libro sul prato davanti allo chalet. Salutiamo
e chiediamo subito di U.G.
Marisa ci dice che è letteralmente "fuggito" in Inghilterra,
per una settimana, per evitare l'assedio dei ricercatori e che arriverà
mercoledì. Ci fermiamo a parlare con Marisa che ci fa entrare nello
chalet. Marisa conosce molto bene U.G.; sono circa 20 anni che lo
frequenta e lo ha ospitato anche per lunghi periodi a casa sua a Roma.
Ora starà con lui per diverse settimane, dandogli una mano nella
gestione della casa. Ci racconta molte cose, così veniamo a conoscere
più particolari su U.G. tramite lei che non nei due anni precedenti.
Stiamo ancora un poco con lei poi scendiamo per cercarci un ristorante.
Nei giorni successivi abbiamo ancora molte occasioni di parlare con
lei. Un giorno ci racconta che ha ricevuto una telefonata dalla Svezia,
da un indiano che chiedeva se in casa c'è il frullatore, in quanto
deve venire con la moglie a cucinare per U.G. Lei è un pò
stupita perché non ne sapeva niente, ma con U.G, dice, non c'è
niente di prevedibile.
Ci piace frequentare Marisa, si dimostra una persona molto profonda
ed intensa, ed ascoltarla è un piacere. Parlando con lei scopriamo
che ognuno dei frequentatori ha un concetto diverso di U.G. Lei, che lo
conosce molto bene, ne vede tutti i tratti caratteriali e sa essere anche
molto critica verso di lui. Ci dice di altri amici che sono convinti che
U.G. sia onnipotente e controlli il destino delle persone e delle cose.
La mia posizione non è ben definita, sicuramente per tutto quello
che fa o dice riesco a trovare analogie con Ramana Maharishi e Nisargadatta
Maharaji.
Mentre aspettiamo U.G., ogni tanto, la sera, prima di dormire, leggo
qualche pagina del libro "Io sono quello". U.G. dice che leggere questi
libri non serve a niente, ma io ho troppo desiderio di queste cose e poi
Nisargadatta mi piace molto, così decido di non dare ascolto a U.G.
Arriva il giorno del ritorno di U.G. e la sera affronto con Teresa
la leggera salita che ci porta allo chalet. Sono combattuto tra due pensieri,
da una parte vorrei andarmene e lasciare perdere U.G. e tutta la
faccenda, dall'altra ho il desiderio di essere accolto bene da lui.
Arriviamo che c'è solo Marisa ed una altro amico con la ragazza;
U.G. sta bruciando delle carte in un barbe-que sul prato fuori dallo chalet,
mi vede e quasi mi ignora, mentre sta passando con le carte da bruciare
mi dà un'occhiata di sfuggita, mi chiede come va e procede
verso il fuoco, senza neanche aspettare la mia risposta. Confesso che sono
rimasto male, mi aspettavo un'accoglienza un pò più calorosa.
Arriva altra gente e, visto che il tempo volge al brutto, U.G. ci invita
ad entrare in casa. Nel corso della prima giornata sto veramente male:
mi sento a disagio, mi agito sulla sedia, vorrei andarmene e non ne posso
più che l'incontro finisca. U.G. non mi aveva mai fatto un effetto
così. Sono veramente deluso ma raccolgo anche la prima lezione dell'anno:
"U.G. non vezzeggia il nostro ego". Il desiderio di essere riconosciuto,
salutato e ben accolto, è solo un desiderio piccolo e meschino,
nato dal mio egoismo, se è quello che sto cercando ho scelto il
posto sbagliato.
Il giorno dopo sono un pò più rilassato; ad un
certo punto arrivano delle persone che probabilmente non piacciono a U.G.
In questi casi sa essere veramente antipatico, diventa scurrile e denigratorio
all'inverosimile e continua finché le persone salutano e se ne vanno;
dopo di che cambia registro e diventa dolce ed amabile come è solitamente.
Il terzo giorno ci si trova fuori sul prato, preferisco gli incontri
all'aperto, mi danno più l'idea di qualche cosa di informale e meno
impegnativo. Dopo poco arrivano altre persone ed io mi sposto per
ampliare la cerchia, affinché anche gli ultimi arrivati possano
essere in prima fila; purtroppo quasi nessuno si sposta e ciò
mi rende furibondo per l'insensibilità della gente che pensa solo
a se stessa. Finisco per passare io in seconda fila così non vedo
più U.G. e continuo ad essere furibondo. Però dentro di me
sento anche un senso di benessere. Ad un certo punto, mentre un raggio
di sole mi carezza piacevolmente il viso dopo avere attraversato i rami
della grande pianta che da ombra a tutto il prato, ho la netta sensazione
di trovarmi di fronte a qualche cosa di straordinario e di unico.
E' come se vedessi dall'esterno questa scena che si sta verificando
in qualche punto dello spazio e del tempo, mentre lì che parla
potrebbe esserci Socrate o Gesù o qualsiasi altro grande maestro.
Sento di essere fortunato, veramente fortunato ad essere lì e sono
contento di avere portato con me anche Teresa. Penso che, se
dovessi morire ora, la cosa più importante e più bella della
mia vita sarebbe stata incontrare U.G. Non che qualche cosa sia cambiato
in meglio, tutto è come prima, ma lì c'è qualche
cosa di vero, di essenziale, qualche cosa che non so ancora comprendere
pienamente.
Intanto devo notare con sconcerto che, da quando è tornato U.G.,
non ho più aperto il libro di Nisargadatta. Non so cosa dire, quel
libro per me è eccelso, ma lì non ha senso. Forse, pensandoci
bene, non potrebbe essere che così: stare con U.G. equivale a stare
con Nisargadatta ed allora che senso ha leggere un libro di qualche cosa
che sta avvenendo ora? E' come se stessi vivendo un viaggio avventuroso
e nel contempo leggessi il libro che racconta lo stesso viaggio, sarebbe
assurdo.
Un'altra piccola lezione mi attende in uno degli incontri successivi.Quando
si prende posto io cerco sempre di mettermi non davanti e non su una poltrona
(se l'incontro si fa in casa ci sono anche alcune poltroncine.) Oggi
sono seduto su una sedia quando arriva Paul Sempé, un anziano marinaio
di Marsiglia molto legato a U.G. Ci si sposta per fare posto a Paul (e
noto con piacere che almeno per Paul anche gli altri si spostano); io prendo
l'ultima poltrona, che è rimasta inutilizzata contro il muro, e
chiamo Paul affinché vi si sieda. U.G. quasi con veemenza si rivolge
a me e dice: "No! quella è tua". La lezione che ne
traggo è "Piantala di pensare troppo agli altri". Forse ci
sono persone a cui bisogna insegnare a pensare di più al loro prossimo
e forse ci sono persone a cui bisogna insegnare a pensarci di meno. La
forza con cui U.G. mi ha letteralmente aggredito, quando normalmente mi
ignora, e l'autorità con cui lo ha detto, mi fa dare questa interpretazione
a quanto è accaduto.
Paul, come Marisa e come tutti quelli che conoscono U.G. da tanti anni,
è una persona squisita, quando c'è lui ogni tanto fa delle
domande profonde, ma quest'anno sembra che U.G. abbia meno voglia
degli anni precedenti di parlare di queste cose e fa ruotare velocemente
il discorso su argomenti più frivoli. Vedo che fa molta attenzione
a tenere l'uditorio allegro e quando vede qualcuno eccessivamente serio
gli dice di non esserlo.
E' arrivata frattanto la cuoca dalla Svezia con il marito. Quest'anno,
per la prima volta, grazie anche a Marisa, ci rendiamo conto dell'attività
intensa che gravita attorno a U.G. Non c'è rumore, non c'è
affarismo, eppure un sacco di cose accadono ed un sacco di persone gravitano
intorno a lui ed il tutto avviene sempre in un'atmosfera di grande normalità.
Un altro piccolo particolare mi colpisce durante un incontro fatto
fuori, sul prato. U.G. è seduto a ridosso del marciapiede dello
chalet, ed esattamente sotto la sua sedia vi è un formicaio. Le
formiche si muovono con grande operosità girando attorno ai suoi
piedi nudi. Io noto che U.G. è terribilmente vicino con i piedi
al formicaio, ma non mi sento di avvisarlo, la signora svedese invece lo
nota e l'avvisa con un pò di allarmismo. U.G. guarda sotto la sedia
e dice, scherzando: "Oh! non importa io e le formiche non ci disturbiamo".
Quindi, noncurante, torna alla discussione.
Se avete mai trattato con le formiche, per esempio a casa vostra, avrete
notato cosa succede quando sono ammassate e per qualche motivo voi le disturbate,
avrete visto in quanto poco tempo le formiche si disperdono fino a sparire
completamente. Non così per U.G., nel corso dell'incontro lui muove
i piedi fino a toccare il cumulo di formiche più vicine al nucleo
del formicaio, queste si muovono un poco, come se fossero state spostate
da un leggero vento, poi tornano a lavorare indisturbate. Analogamente,
muovendo i piedi, ogni tanto va ad appoggiarli su un gruppo di formiche
che si stanno muovendo o che sono ferme, le vedo sparire sotto il
piede di U.G., che magari resta immobile per un pò, poi lo
ritrae strisciandolo; tolto il piede le formiche tornano a muoversi come
se nulla fosse successo.
Se lì ci fossi stato io assicuro che, quando avessi ritratto
il piede, ci sarebbe stata marmellata di formiche. Altre, poche per la
verità, gli salgono sui piedi e per un pezzo della gamba per poi
ridiscendere. U.G. non fa mostra di accorgersene.
La mia scoperta di U.G. è fatta di tanti piccoli particolari
che colgo stando alla sua presenza. Perché U.G. possa violare
una legge biologica, (la paura che le formiche hanno dell'uomo) ed una
legge fisica (la pressione del piede su di esse che non le
schiaccia) non lo so! Ognuno tragga le conclusioni che meglio crede, dal
canto mio sto solo descrivendo ciò che ho visto.
Nel corso dei giorni comincio a percepire qualche cosa: U.G. è
veramente indifferente a tutto ed a tutti ed, apparentemente, mostra verso
di noi quasi più antipatia che simpatia. Continua a "strigliarci";
ci rimprovera perché vogliamo cambiare, perché vogliamo essere
diversi da quello che siamo. Ci dice che proprio la nostra ricerca ci tiene
lontani dalla meta verso la quale siamo tesi. Comincia a fare capolino
in me una percezione: lì c'è qualche cosa di vero, qualche
cosa di reale, e noi tutti con le nostre richieste, con le nostre domande
non facciamo altro che disturbare questa realtà. Mi si affaccia
alla mente una scena della mia infanzia: un laghetto alpino ai piedi di
un ghiacciaio, tutto chiuso tra rocce e montagne, e tutt'intorno un silenzio
totale, interrotto solo dai tonfi sordi di qualche sasso che, di tanto
in tanto, si stacca dai ghiacci per cadere nel lago. Vedo lo stato di U.G.
come questo grande silenzio, questo grande ordine, questa grande pulizia
e vedo noi come un'orda di turisti indisciplinati che lordano e feriscono
il silenzio e la pulizia con i loro stupidi chiacchierii e con la loro
invadenza.
Vedo anche il silenzio immobile, incrollabile, tornare dopo ogni rumore,
il silenzio è vero, duraturo, eterno, i rumori, sono falsi, temporanei,
irreali, singhiozzi di dolore in un oceano di pace. Quale assurda pretesa
la nostra ricerca dell'illuminazione! Siamo di fronte a qualcosa di così
perfetto, di così grande che il solo nominarlo lo altera. Vedo che
siamo tutti come bambini che si rifiutano di crescere restando attaccati
puerilmente ai giocattoli e, tra questi giocattoli, adesso c'è questo
nuovo gioco che chiamiamo illuminazione. Sicuramente la nostra ricerca
parte da un punto di vista egoistico, stiamo solo cercando di migliorare
il posto al sole che la vita ci ha assegnato. Queste rapide riflessioni
mi scorrono davanti mentre sono lì alla presenza di U.G.
Un giorno stiamo salendo allo chalet e superiamo un signore molto anziano,
stimo che abbia più di ottant'anni e mi chiedo se stia salendo anche
lui da U.G., ma la cosa ha poca importanza. L'incontro è fuori,
sul prato e siamo lì da una quindicina di minuti circa quando, un
pò affaticato e con passo lento, arriva l'anziano signore. U.G.
l'accoglie con aria festosa, si alza, gli procura personalmente una sedia
e si assicura che si sia ben accomodato. Dopo alcuni minuti U.G. gli chiede:
"Da quanto tempo sei qui?". "Da tre settimane!" è la
risposta. "Quando partirai?" continua U.G. "La prossima settimana!" risponde
il signore anziano. Dopo queste brevi frasi in cui, devo dire, ha dimostrato
molto calore, U.G. cambia interlocutore. Passano circa 5 minuti, o poco
più, il signore anziano si alza, saluta U.G. che lo ricambia
ancora calorosamente e quindi si appresta al ritorno.
Alla fine dell'incontro, prima di scendere, Marisa ci racconta i retroscena
di quel simpatico episodio: "Sono 20 anni che quel signore viene a trovare
U.G., sempre alla terza settimana e sempre per una manciata di minuti,
dice che questo incontro lo rende molto felice e lo fa stare tanto bene;
sono pure 20 anni che U.G. gli fa le stesse due domande, comunque
dice che, tra le persone che lo visitano, quella è una delle preferite
perché si ferma poco e non fa domande.
Per dare una panoramica completa della vita lassù bisogna dire
tutto fino in fondo, rischiando di ferire i benpensanti o i trop a come un gioco. In ogni caso
è sempre attento a non denigrare e ferire chi di queste cose ne
ha fatto la propria professione.
Sto vivendo questo terzo anno in modo diverso dai precedenti. Sento
in modo acuito l'effetto attrazione repulsione di U.G. All'inizio mi ero
riproposto di saltare qualche incontro, se non addirittura di non salire
più da U.G., invece sto capitolando nel modo più totale,
aspetto solo che arrivi l'ora dell'incontro. D'altro canto anche Teresa,
che sente meno l'effetto repulsione, spinge verso U.G. e nel mio intimo
questo forse mi fa piacere. Gstaad è un posto bellissimo per passare
le vacanze, ma la vera vacanza è U.G. Nondimeno ogni tanto mi coglie
la voglia di andare e di lasciare perdere tutto. Comincio a
percepire che, buttare tutta la ricerca e con lei U.G., equivarrebbe all'essere
arrivati alla meta, ma forse non sono ancora pronto.
Ogni tanto faccio anche un pò di autocritica per assicurarmi
di non perdere il lume della ragione e non cadere in qualche infatuazione
mistica, dove ogni senso critico viene bandito, per una devozione cieca
verso il messia di turno. A mio modo di vedere, queste cose possono portare
anche a finali dalle tinte fosche se non addirittura a tragedie. Per esempio:
se e quando ci si rende conto di avere fatto un grande investimento di
fede nella persona sbagliata; senza arrivare ai casi limiti come quello
della setta: "Il tempio del popolo" capeggiata dal reverendo Jhones che
finì con un suicidio di massa. No, non è proprio questo il
caso, sono troppo diffidente e quadrato, e soprattutto U.G. non è
certo un plagiatore di folle che tenta di assopirci chiudendoci gli occhi,
anzi credo che U.G. stia tentando l'esatto contrario, quello cioè
di aprirci ad una comprensione più vasta e più vera.
In una società che ci inquadra costantemente, in un mondo
che ci chiede sempre qualche cosa, in una cultura plasmata da mille ideologie,
quest'uomo sembra esortarci inesorabilmente ad essere noi stessi, veri
fino in fondo e non una patetica caricatura di ciò che siamo.
U.G. è molto attento a non darci direttive, o se preferite a
non nutrirci di false speranze. Forse, proprio il suo continuo tentare
di scoraggiarci fino al punto di mandare via le persone e quel
sentimento di "repulsione" che sentiamo, è proprio dovuto alla sua
costante attenzione affinché nessuno si alieni dalle proprie
responsabilità adagiandosi sul morbido letto di una fede cieca.
E' anche vero che se, nonostante un insegnamento così negativo,
lui è perseguitato da un nutrito gruppo di ricercatori, pensiamo
cosa succederebbe se si mettesse a dispensare messaggi di speranza e di
ottimismo. Se il suo insegnamento fosse più positivo U.G. avrebbe
intorno un nugolo incontenibile di ricercatori che lo bombarderebbero con
richieste senza fine. Poi c'è Teresa; io potrei lasciarmi
ingannare, visto il mio interesse per queste cose, ma lei per me
diventa la "Prova provante" visto che non ha questo tipo di interessi,
nè le sono venuti con il tempo.
I giorni scorrono veloci e da qualche tempo sto rimuginando in me un'obiezione
a quanto U.G. dice. lui afferma spesso: "Non c'è nulla qui, non
c'è nulla lì", dove con "Qui" indica se stesso e con "Lì"
indica l'interlocutore. Ecco io ho la sensazione fortissima invece che,
"Qui", dietro i costrutti mentali, dietro le definizioni culturali, ci
sia qualche cosa. Questo non c'è niente" Lì" mi suona come
se U.G. dicesse "Tu non esisti", ma io "qui ed ora" ho la certezza assoluta
di esistere. "U.G. ti stai sbagliando!".
La questione mi turbina dentro da qualche giorno ed agli incontri questa
obiezione tenta di uscire, ma poi è soffocata un pò
dalla mia timidezza ed un pò dal mio inglese che continuo a non
padroneggiare. Una sera sono piuttosto determinato ad esprimere il mio
dubbio, ne ho parlato anche a Marisa senza però dirle il contenuto.
Siamo all'incontro già da parecchio e ad un certo punto, mentre
la discussione langue, U.G. si rivolge verso di me e dice: "Allora
signore?". E queste sono le piccole cose che mi stupiscono sempre, in tre
anni non si è mai rivolto a me se non per chiedere dove ero alloggiato
oppure quanto tempo rimanevo a Gstaad, invece questa volta butta lì
questo "Allora signore?" come se sapesse che ho qualche cosa da sottoporgli.
Non sono abbastanza veloce a cogliere l'opportunità e glisso perdendo
l'occasione; per fortuna è Marisa che, dopo un pò, risana
la situazione, si alza, si siede vicino a noi dicendo: "Mi sposto per tradurre
perché lui (indicando me) ha qualche cosa da chiedere". Sono con
le spalle al muro, non posso più esimermi e pongo la mia domanda.
"U.G., quando tu asserisci: "Non c'è niente" Lì" non
capisco perché a me sembra che "Qui" ci sia qualche cosa!". "Cos'è
che c'è lì?" prosegue U.G. Rispondo:
"Io non so cosa, ma sento che qui.....". U.G. mi interrompe: "Sentire
non significa nulla vedi, sentire è ancora pensare. Tu vuoi
usare la parola sentire e fai questa distinzione tra pensare e sentire,
ma entrambe sono la stessa cosa. Non potrai mai conoscere i tuoi sentimenti
fintanto che tu usi il pensiero, non importa di che sentimento si tratti:
felice, infelice, miserabile o altro".
Intuisco che mi sta rispondendo con uno dei suoi aneddoti abituali,
lo interrompo ed aggiungo: "Ma tu vuoi dire che non esisto? Quando tu dici:
"non c'è niente lì ....", U.G. mi interrompe a sua volta
e risponde di rimando:
"Niente lì che debba essere cambiato. Tu sei solo interessato
a cambiare qualche cosa; migliorare, cambiare, modificare, trasformarti
in qualche cosa di diverso da quello che sei. Lì non esiste altro
che questo tuo tentativo di cambiamento. Questo è quanto io sottolineo
tutto il tempo, questa è l'unica cosa che vi è. Se questa
tua domanda di cambiamento non è presente quello che resta è
molto difficile da vedere e da sperimentare.
Tu non puoi sperimentare niente a meno che non abbia la conoscenza
di quello che stai sperimentando. Ciò che non conosci non puoi sperimentarlo
e tutto quello che conosci è tutto ciò che è stato
immesso in te dalla cultura; tutto ciò che gli altri hanno detto
e pensato, indipendentemente da chi siano gli altri. Ecco perché
io parlo di cose semplici: perché il tavolo è qui, questo
maglione è beige ecc.. Sai, gli occhi fisici non guardano al maglione
come beige. La separazione avviene solo quando la conoscenza che hai delle
cose là fuori e qui dentro diviene operante, altrimenti tu non avresti
modo di conoscere nulla nè di sperimentare nulla, neanche le cose
più semplici, nella tua vita. Che quel prato è verde
tu non lo sapresti mai a meno che guardi a quello come verde; chi
ti ha detto che è verde? Non sto dicendo che non sia verde e che
sia rosso, blu, o bianco, ma il fatto è che noi siamo stati educati
in questo modo. Ogni volta che tu guardi al prato tu lo chiami verde, perché
devi fare ciò? Nessuno te lo chiede, perché devi comunicare
con te stesso tutto il tempo, mantenendo così questa divisione in
te? Questo è il dialogo, per usare un termine altisonante, che si
protrae all'interno di te.
Se tu non conoscessi che sei infelice, che sei miserabile, che
sei avido, che sei questo o quello, se non conoscessi che quello è
verde o blu o bianco, che io sono uomo e che quella è una donna,
se tu non conoscessi tutto questo, tu non ci saresti! Così
tu puoi esserci e mantenere quell'identità tutto il tempo, sia che
sia sveglio sia che stia dormendo, solo attraverso la conoscenza che hai
delle cose. E questa conoscenza è stata messa in te dalla cultura
o dalla società.
Se tu non facessi questo, anche per una sola frazione di secondo,
tu, come conosci te stesso e come sei solito sperimentarti saresti finito.
Non ipotizzare cosa troverai quando la conoscenza sarà andata via,
non stare a sentire quelli che ti parlano di beatitudine, immensità,
amore, non credergli, tu non potrai mai sapere cosa troverai in quel momento
perché tu non ci sarai.
In questo senso io posso dire non c'è niente qui
non c'è niente lì ma tu non puoi dirlo! Come puoi dirlo?".
Anche questo terzo anno volge al termine, è l'ultimo incontro
e prima di accomiatarmi, chiedo a U.G. se possiamo salire l'indomani
mattina prima di partire per salutarlo. "Certo certo" è la sua risposta.
L'indomani siamo da lui. Ci fermiamo un attimo e ci accomodiamo nel
salottino che conosciamo bene; mi sento tranquillo perché
c'è anche Marisa, quindi non sono esposto ai rischi del mio inglese.
Riusciamo a fare quattro chiacchiere di carattere generale; U.G., caso
strano, ci chiede se siamo mai stati in India. Rispondo di sì, nel
1991 e gli enumero le città che abbiamo visitato: Madras, Bangalore,
Tiruvannamalai, (la città dove c'è l'ashram di Ramana Maharishi),
quando pronuncio il nome di questa città U.G. sopprime quel poco
di interesse che aveva mostrato nel chiederci qualche cosa di
personale e cambia discorso.
Verso la fine U.G. mi chiede se penso di ritornare il prossimo anno.
L'anno scorso avrei detto: "Sicuramente!", quest'anno rispondo "Probabilmente."
Non so perché e non ricordo se subito dopo o se dopo qualche
momento, fa la stessa domanda anche a Teresa. Non so Teresa cosa avrebbe
risposto l'anno scorso, quest'anno comunque risponde "Può essere."
Nel frattempo è arrivato anche Paul, ma noi siamo in partenza e
stiamo salutando. U.G. ci saluta dalla sedia senza alzarsi, io comunque
do la mano a Paul, visto ciò, U.G., forse ricordandosi che noi occidentali
usiamo darci la mano, si alza e ci dà la mano anche lui.
A Marisa diamo un bacione perché se lo è meritato. La
sera prima abbiamo avuto una bellissima conversazione, tanto che, scherzando,
le ho detto: "Marisa sei tu che illumini lui o è lui che illumina
te?".
Volgiamo le spalle allo chalet, a Gstaad ed alla ridente valle del
Saanenland.
CONSIDERAZIONI SU U.G. DOPO IL TERZO ANNO.
In assoluto è
la volta che siamo stati meno da U.G., in quanto il primo anno siamo stati
due settimane, anche se non consecutive, il secondo anno tre, e quest'anno
neanche una decina di giorni. Ma forse, se ci penso bene, è l'anno
che ho avuto di più, forse le mie grandi aspettative non sono state
tradite, forse ancora una volta U.G. ha avuto ragione.
Non sono migliorato e non è migliorata la mia vita, ma una domanda
si affaccia alla mia mente: Io e la mia vita dobbiamo proprio migliorare?
Cosa vado cercando, cosa c'è che non va in me o nella mia vita?
E che senso ha cercare una vita sempre più piena, sempre più
ricca? Non è forse la vita soggetta ad alti e bassi? Che pretesa
una felicità perenne! Questa continua ricerca mi impedisce di gustare
le piccole grandi cose che già possiedo e ne ho tante; Dio se sono
tante, e quasi non le vedo! E tutto questo continuo cercare, tutto questo
agitarsi, che rumore, che disordine, che chiacchierio continuo che turba
il silenzio e la pace che ci sono già!
Non c'è un'illuminazione da acquisire, anzi non c'è proprio
nulla da acquisire, semmai c'è da tralasciare. Tralasciare le montagne
di cose inutili che ci turbinano nella testa, tralasciare le montagne di
cose inutili che accatastiamo fuori di noi. Ho capito cos'è un illuminato;
un illuminato è un uomo vero, vero perché vive dell'essenziale,
vero perché nè mentalmente nè fuori di sé si
contorna di cose futili. E' un uomo con i piedi saldamenti piantati per
terra, che non si illude di raggiungere una perfezione che non esiste,
che accetta totalmente i suoi limiti e le sue debolezze, che non si lascia
soggiogare da modelli culturali. E' fedele a se stesso e quindi completamente
in pace con sé e con il mondo. Non alimenta conflitti in sé
e quindi neanche fuori di sé.
Un illuminato è la normalità fatta uomo e questa normalità
si può indicare come il "Miracolo dei miracoli", mentre per la cultura
e per la vecchia personalità è una "Calamità". Non
scherza U.G. quando dice:
"Perché cerchi questa cosa, essa è la fine di te
per come sei solito conoscerti e sperimentarti. Non puoi volere una cosa
del genere, ed il cumulo di romanticherie che hai in testa non c'entra
niente con quello che c'è qui."
E vero, l'illuminazione è la morte civile, eppure per qualche
strano motivo, in un certo momento della nostra vita, ognuno di noi la
cerca. E comunque nessuno è immune da questa ricerca, lo ha detto
U.G., ma questo, giuro, l'avevo già pensato prima di leggerlo
su uno dei suoi libri, sia che stiamo cercando una bella macchina, una
bella donna, un posto di potere, l'illuminazione o qualsiasi altra cosa,
il principio è lo stesso. Non siamo soddisfatti di ciò che
abbiamo.
Per qualche strano motivo pensavo che la ricerca dell'illuminazione
fosse più nobile delle altre ricerche, ora so che non è vero,
tutte nascono dalla nostra insoddisfazione. E forse la via d'uscita, se
mai ci sarà una via di uscita, consiste proprio nel riuscire ad
accettarci così come siamo, non con uno sforzo volitivo, che sarebbe
ancora una pretesa della vecchia personalità, bensì con una
comprensione più grande e più matura verso noi stessi. In
questo "Comprendere" forse troveremo che non dobbiamo accettare solo
noi stessi ma il mondo intero, perché in definitiva, noi siamo il
mondo e questo sarà forse l'apice del nostro amore.
Oggi U.G. è poco conosciuto, non so se il suo pensiero rivoluzionario
sarà svelato in futuro, se sarà studiato e se attorno
a quello che ha detto si creerà una grande scuola di pensiero. Nemico
come è delle istituzioni religiose e delle scuole di pensiero, U.G.
ci assicura che non avremo modo di usare quanto ha detto per nessun
fine.
Per me U.G. è un grande saggio, anche se non mi lascerò
tentare dal desiderio di dire "Il più grande" o di usare le frasi
sfruttate all'inverosimile per troppi mistici del tipo: "Le generazioni
future non potranno credere che un tale uomo sia esistito", oppure "Che
saremo contenti di essere stati gli uomini dell'epoca di U.G."
Quando leggevo e studiavo questi argomenti, un tempo, solevo fare valutazioni
chiedendomi se un maestro fosse più grande di un altro e se l'aiuto
di uno sarebbe stato più efficace di quello di un altro. Ora ho
cancellato questo modo di pensare ed anche questo è un dono di U.G.
Ho capito la frase di Nisargadatta: "La stessa acqua è in tutti
i pozzi". E' infantile attribuire voti ad un saggio, e misurarlo in
termini di maggiore o minor grandezza. Ogni saggio è l'espressione
vivente di uno stesso principio e questo principio "E' quello che E'" dopo
che tutte le definizioni se ne sono andate. Di lui nulla può
essere detto, se viene definito, quella definizione è per forza
di cose falsa. Non ha utilità pratica, ma la Sua esistenza è
il prerequisito alla creazione.