Cosa dire del sesto anno? Nello
strano mondo del divenire tutto si muove e tutto cambia anche il mio U.G.
deve subire una metamorfosi. Attenzione però il mio U.G. quello
cioè che io vedo ed interpreto, perché viceversa U.G. esattamente
così com'è rimane invariato, almeno rispetto al mio punto
di vista. Inizio criptico di questo sesto anno che ha bisogno comunque
di una lunga premessa.
L'estate scorsa ho ricavato principalmente due cose dalla mia frequentazione
con U.G. e precisamente: una serie di foto digitali che mi ha dato Julie
e un forte feeling positivo verso U.G. stesso.
Questo si è risolto in un'intensa attività che ho intrapreso
dopo essere tornato a casa e che gravitava tutta attorno a U.G. Subito
mi sono messo a trattare le foto di Gstaad con il computer quindi, le ho
stampate e le ho inviate ai vari amici in giro per il mondo. Contemporaneamente
ho scritto il quarto e quinto hanno di questo diario, e "dulcis in fundo"
ho tradotto: "The courage to stand alone", ovvero i dialoghi di U.G. con
gli amici di Amsterdam, quegli stessi che erano stati trascritti in internet
da Ellen Chrystal.
Non che io fossi diventato improvvisamente un esperto conoscitore dell'inglese,
ma quei nastri li sentivo tutte le mattine e tutte le sere andando e tornando
dall'ufficio. Erano e sono, insomma, la fonte principale della mia conoscenza
dell'inglese.
Tutto questo lavoro su U.G. si era esteso nell'arco dell'anno dalla
fine dell'estate all'inizio dell'estate successiva, e come diretta conseguenza
aveva portato una ininterrotta concentrazione da parte mia su U.G. stesso.
Così il buon feeling che avevo ricavato dall'ultimo incontro
era andato via via aumentando. Mi ritrovavo alla fine dell'estate con una
immagine mentale di U.G. esageratamente positiva. Si era ai primi
di giugno e già pensavo al momento che sarei stato a Gstaad. Era
inevitabile in questa situazione che tutta la faccenda collassasse.
La demolizione di quell'impalcatura fittizia si è svolta in
un attimo nella mia mente, e la dinamite che ha operato la distruzione
l'ha fornita ancora una volta U.G. attraverso delle parole dette due anni
prima. Si era sul prato fuori dallo chalet in una delle consuete riunioni,
U.G. stava parlando quando ad un certo punto si rivolge ad uno dei
presenti e con enfasi gli dice: "Perché sono qui, perché
sei qui?"
L'interlocutore con aria un po' smarrita per essere stato chiamato
in causa così improvvisamente risponde: "C'è una sorta
di attrazione".
E U.G di rimando: "Siete voi che mi attribuite quest'attrazione".......
In quel preciso momento vidi con una chiarezza cristallina come l'immagine
che stavo cullando di U.G. fosse principalmente una mia costruzione mentale,
imparentata più o meno alla lontana con U.G. stesso. Il fatto che
tutta la mia vita fosse una riproposizione di questo inganno in quel momento
non aveva grande importanza, quello che era strano era la caduta totale
ed irreversibile della immagine che avevo costruito di U.G.
Dalle macerie della mia presa di coscienza U.G. ne era comunque uscito
bene anche perché in fondo esiste un U.G. oggettivo, che a discapito
delle sue parole e dei suoi tentativi di autodistruggersi ha un suo valore
intrinseco.
I miei sforzi letterari si erano conclusi con la stampa di due libretti
fatta con il computer. Uno era questo stesso diario, l'altro la traduzione.
Erano venuti bene: formato libro con una copertina rigida che riportava
le foto di U.G. (le stesse digitalizzate avute da Julie).
Verso la metà di Giugno arriva una telefonata da Riccardo, (uno
degli amici italiani che avevamo conosciuto a Gstaad), che ci dice
che U.G. sarà a Milano di passaggio e che gli farebbe piacere vederci.
Quel giorno esco prima dal lavoro per andare a fargli visita in albergo.
Ci ritroviamo là. U.G. ha portato con se Nataraj, c'è Riccardo,
ed inoltre, Giovanni Turchi e Lucia, due seguaci di J. Krishnamurti. Nell'occasione
gli dò i due libri prodotti da me e U.G. sembra gradirli molto.
Parlo molto ed alla fine riesco in qualche modo e con l'aiuto di Riccardo
a convincerlo a venire, con tutti i presenti, a cena a casa mia. Ne esce
una serata piacevole apprezzata da tutti. "Arrivederci in Svizzera", ci
si saluta alla fine.
Una volta passato l'evento io mi ritrovo a fare i conti con la mia
testa. "U.G. Dio" e "U.G. uomo", si contendono all'interno delle anguste
pareti del mio cervello la possibilità di coesistere. Quando sono
lontano da lui tendo ad estrapolare comunque e sempre un'immagine di lui
molto positiva. Mentre quando sono vicino le sue caratteristiche umane
tendono ad avere il sopravvento.
Tra l'altro come ho spesso detto lui, che ci tiene a dire che è
esattamente come noi e che non accetta neanche per un secondo di essere
messo su di un piedestallo, è molto bravo a mostrare i suoi lati
peggiori e ad autodistruggersi.
Così a Gstaad quest'anno faccio una fatica tremenda a salire
da lui. Ero partito con le migliori intenzioni, mi ripetevo che dovevo
essere serio, che salendo la breve collina che conduce allo chalet avrei
lasciato indietro il mio piccolo io con tutte le sue pretese, ma ancora
una volta non sono riuscito ad essere così bravo. Fin dall'inizio
c'era tanta gente, e subito ha cominciato a cogliermi un grande senso di
disagio e di ribellione. La grazia di U.G. non bastava a cancellare questa
sensazione.
Peggio di tutto però era il non ritrovare U.G. come lo ricordavo,
o forse di non ritrovare l'idea che mi ero fatto fino ad allora riguardo
a U.G. Come ho detto per tutto l'anno avevo lavorato molto sui suoi libri,
pensando spesso a lui e probabilmente idealizzandolo eccessivamente ed
ora facevo fatica ad accettare la realtà delle cose cosi come mi
si presentavano. Mi ero fatto anche un sacco di aspettative, in qualche
modo avevo alimentato l'illusione che vicino a lui avrei trovato la soluzione
a tutti i miei problemi, soprattutto quelli di lavoro che alla data continuano
a perdurare.
U.G. invece non largiva altro che la sua grazia infinita. Puro e bellissimo
come sempre non dava altro che la sua presenza e la sua compagnia vestite
di realtà. Uno dovrebbe gioire e nutrirsi solo di questo come sanno
fare alcuni, e come sa fare molto bene Teresa che, per tutte le due settimane,
sembrava fluttuare nell'aria indifferente a tutto ed a tutti. Nemmeno il
brutto tempo che ha imperversato per quasi tutta la prima settimana riusciva
a scalfire la sua serenità.
Così prendo atto che la dissoluzione dell'immagine mentale
di U.G. ha lasciato alla fine una sorta di vuoto e di stanchezza verso
U.G. e verso tutta la faccenda a lui legata. Davvero mi sento pronto a
lasciare.
"Quando avrete finito con me, avrete finito con tutto", mi risuonano
nella mente le parole che lui dice spesso. Ma io non ho finito proprio
con nulla. Solo mi sembra assurdo quello che sto facendo li'. Come se non
bastasse la contraddizione di ogni anno torna più evidente e più
lacerante di prima.
Mentre da un lato mi sento annoiato della routine e non vedo più
quasi nessun fascino nel salire a quello chalet, dall'altro soffro in modo
struggente per la mia incapacità di avere un accesso più
libero e spontaneo verso U.G. Molti degli altri suoi amici salgono ad ogni
orario, stanno con lui come e quando vogliono. Noi siamo ancora confinati
agli incontri delle quattro del pomeriggio. Amici arrivati dopo hanno saputo
accattivarsi l'accesso a U.G. molto più in fretta e molto più
facilmente.
Ne parlo con Teresa e su questo litighiamo ferocemente. Lei non sente
il mio bisogno ed il mio conflitto interiore. "Facciamo anche noi come
gli altri", mi dice. "Loro non si pongono tanti problemi e salgono da lui".
"È fuori dalla mia natura", ribatto. Mi sembrerebbe di essere invadente.
Discutiamo animatamente, mentre contemplo questa mia impotenza, questo
mio lato caratteriale che mi accompagna da tutta una vita. Teresa incalza,
"Impariamo a fare come gli altri".
"No!", rispondo risoluto, "non in questo caso. Se anche qui la logica
deve essere chi più sa prendere più ha, allora non ho capito
nulla. Questa è la logica della vita, questa è la logica
dell'ambiente dove lavoro. O.K. ne prendo atto, ma non accetto questo da
U.G.
Se le cose stanno così sono venuto nel posto sbagliato. Se anche
con lui prevale questa logica allora, tanto vale che me ne stia a casa
o in qualsiasi altro posto del mondo. Allora U.G. non è assolutamente
nulla".
Nello scambio animato che ho con Teresa, dico cose che sento profondamente
dentro di me. Le dico e le penso, con grande intensità d'animo e
come già successo questo mio pensiero molto profondo, molto sentito,
provocherà alla fine una risposta, come andremo a vedere.
La risposta non è immediata. Gli incontri successivi si trascinano
più o meno stancamente come era avvenuto sino a quel punto. Però
la risposta c'è. Inavvertita, lieve, sapiente, così tanto
sapiente che mi accorgerò solo a distanza di più di un anno
che tutto quanto è avvenuto in quei giorni e nei giorni a venire
era la risposta alla mia preghiera silenziosa, al mio lacerante grido di
aiuto. (E per una volta tanto mi sento di aggiungere che sebbene questa
interpretazione degli eventi, sia ancora una volta frutto di una mia visione
delle cose, ho comunque la certezza "totale ed assoluta", di non sbagliarmi).
Non so cosa potrebbe pensare U.G. se sentisse queste parole. Ah già,
ma dimenticavo, lui non pensa. Comunque, le parole che ho da dire sono
queste, ed io le voglio dire, tutte e fino in fondo.
Si avvicina la fine delle nostre due settimane a Gstaad, e U.G. con
la sua consueta semplicità, ci butta lì una frase simile
alla seguente:
"Voi che siete vicini perché non tornate a trovarmi ad Agosto?".
La domanda sembra vaga, ed altrettanto la mia risposta, che è
stata del tipo: "può darsi!, devo chiedere al mio capo in ufficio
se mi da i giorni".
"Tu sei il capo", incalza U.G. con enfasi.
Bisogna conoscere il personaggio per capire appieno l'impatto di un
suo invito diretto. Gli amici stessi si stupiscono e si complimentano con
noi. Un invito di U.G. Dell'uomo che dice continuamente: "Andate via cosa
venite qui a fare?".
Mentre si lascia nel vago la cosa, una parte di me si rasserena come
se conoscesse gli eventi futuri. Alla luce di quello che è successo
dopo azzarderei dire che U.G. invece conosceva già il seguito della
storia fino ad oggi e forse oltre.
Nel mese che ci separa dal nostro ritorno a Gstaad, Teresa ed io iniziamo
a parlare di un possibile viaggio in America. La mano del destino guida
con maestria l'accadimento degli eventi. La suocera sta bene, la stagione
è buona. I giorni di ferie a settembre sono già programmati.
Perché non l'America? Io non l'ho mai vista e Teresa ha sempre espresso
il desiderio di portarmici.
Per ferragosto torniamo a Gstaad a spendere tre giorni, come U.G. ci
aveva suggerito. Tre cose significative accadono in questi tre giorni.
Abbiamo accesso a U.G anche al mattino.
U.G. mi da un biglietto che contiene la lista di tre case editrici
Italiane con una raccomandazione di un amico, un editore francese, a cui
sottoporre la traduzione del libro.
Confermiamo il nostro viaggio in America.
Abbiamo in mente l'itinerario esatto, che si compone di New York e
Palm Springs. Entrambi questi posti sono le mete di U.G. quando lascerà
la Svizzera. Però siamo ancora incerti sulle date, e sulle modalità
del viaggio.. Io visto il gioco di fusi orari e di ore di volo opterei
per una soluzione come segue: "tre giorni a New York, una settimana a Palm
Springs, ritorno a New York, con permanenza di qualche altro giorno in
modo da ammortizzare ore di volo e Jet Lag". Teresa ha un'altra ipotesi
che non ricordo.
Quando U.G. sente che non abbiamo ancora deciso sulle date con il suo
caratteristico senso pratico, taglia corto e dice: "una settimana a New
York, ed una settimana a Palm Springs".
Quando gli chiedo se potremo andarlo a trovare a New York, lui dice
"si", ed aggiunge, "ma sarete più che benvenuti a Palm Springs".
Non vedo ancora che tutto quanto sta accadendo è una risposta
ai miei pensieri di Gstaad. E mi ci vorrà ancora molto a capirlo.
A New York abbiamo un paio di incontri con lui. Li ci sono i suoi famigliari
ed altri amici e lui come sempre si deve condividere al meglio tra tutti
i suoi amici. (Ero tentato di dire tra tutti coloro che hanno bisogno di
lui).
In quella città c'è anche mio cugino, così un
po' con lui, un po' con U.G. ed i suoi amici ci sentiamo tenuti a balia.
Le cose vanno ancora meglio a Palm Springs.
Il caldo è rovente, arriviamo in una mattina di fine estate,
io mia moglie e quella terribile Hyundai con il cambio automatico che ho
noleggiato all'areoporto di Los Angeles. Mi fermo a inizio paese e chiamo
il numero di telefono che ho con me. Non ho altro che quel numero, ed ho
vagamente idea di quali amici possano essere lì.
Dopo qualche tentativo di spiegarci la strada, Robert, (quello che
avevo conosciuto a Gstaad), viene a recuperarci con Lisa lì dove
siamo. Raggiungiamo la casa dove U.G. risiede. È una piccola casa
americana che gli ha messo a disposizione il dottor Lyn, ed è vicino
alla casa di Lisa.
U.G. ci fa accomodare, ci saluta, e ci fa mettere a nostro agio. Dopo
quattro chiacchere di benvenuto andiamo tutti assieme a cercarci una sistemazione.
Troviamo velocemente l'albergo, che è un po' sotto ai nostri standards,
ma non importa; quello che importa è che tutto quello che sta succedendo
proprio lì ed in quell'attimo preciso ha il fascino immenso della
realtà. Sbrigate tutte le pratiche, mentre stiamo per lasciare l'hotel,
U.G. dice rivolto ad uno degli amici: "se fai qualche cosa per gli altri
non aspettarti la riconoscenza".
La mia memoria registra la frase. Penso che sia detta per me o per
noi, così nel pomeriggio prima da tornare da U.G. mi precipito in
giro per la cittadina a cercare dei cioccolatini di cioccolato bianco da
portargli, come ringraziamento.
"Per ringraziare te e tutti gli amici", gli dico porgendogli l'elegante
confezione. In realtà quella frase mi tornerà in mente ancora
ed ancora nel corso di tutto l'anno successivo, quando contemplerò
una serie illimitata di cocenti delusioni, riguardo all'amicizia. Questa
è una storia, nella storia. C'è stata da parte mia una presa
di coscienza di avere investito veramente tanto in amicizie, per ricevere
alla fine il classico pugno di mosche come si usa dire. Ma le parole di
U.G. erano lì pronte ad aspettarmi. Pronte a ricevere il mio sconforto,
la mia cocente delusione. Come dire: "te lo avevo detto, ti avevo preparato
a questo brutto risveglio".
La settimana a Palm Springs, scorre veloce. Incantevole cittadina nel
deserto californiano, ci culla con il suo senso di dolcezza e con il suo
calore in senso meteorologico e non. Dividiamo il tempo tra il desiderio
di visitare i posti nuovi e quello di rimanere con U.G. e con tutti i nostri
amici vecchi e nuovi. Ora abbiamo accesso anche al mattino, e U.G. non
fa mistero di svelare il suo lato umano.
Quando siamo da lui ci sono momenti di stanca. Lui sbadiglia, sembra
che si annoi. A volte si addormenta per qualche breve momento lasciandoci
sospesi in momenti di profondo silenzio. Ma lui è se stesso, e nello
stare con lui si sente la richiesta prepotente di essere anche noi "noi
stessi", di non falsificarci e di esprimere i nostri bisogni naturali nel
modo più normale possibile. Come se questa "naturalezza", fosse
la quint'essenza della vita.
Non sono richiese formalità per rimanere lì, solo il
patto tacito di non falsificarci, così ogni tanto si parla tra di
noi, lasciandolo comodamente sdraiato sulla sua poltrona a sentire o a
dormicchiare.
Un'altra cosa che mi avevano raccontato gli amici a lui più
vicini ma che non avevo mai sperimentato era la sua passione per i centri
commerciali. Quando si va' in giro, (e con lui si va spesso) si va per
""mall"". Lui entra cerca soprattutto roba di vestiario, si muove tra i
banchi, poi ogni tanto trova qualche cosa, e rimane molto a lungo a tastare
la stoffa. Come se percepisse delle vibrazioni vive in essa.
Spesso compra, per se stesso, roba di cotone o di seta, perché
non può indossare roba sintetica. Più spesso gira senza comprare.
Come faccia poi a fare stare tutto nella sua valigia di 5 chili che come
dice lui rappresenta tutti i suoi possessi è una domanda legittima.
Io penso che quando passa per l'India, e ci passa spesso, regali molte
delle cose che ha comperato. Comunque è bello vedere anche questi
suoi lati molto umani.
La settimana corre veloce sospesa tra sogno e realtà. Con l'animo
colmo di belle cose torniamo alla fine in Italia. Ho apprezzato molto
la mia esperienza a Palm Springs, ma diversamente dall'anno precedente,
una volta a casa, non penso più costantemente a U.G. Ho imparato
la lezione e non ci casco più.
Gli eventi della nostra vita seguono il loro corso. Non molto tempo
dopo essere tornato da Palm Springs, attraverso una piccola tribolazione
di salute che fortunatamente ha un lieto fine. Nel contempo scopro internet
che mi apre una finestra sul mondo e mi affascina molto. Internet finisce
per assorbire il tempo libero che mi rimane dopo il lavoro e la vita con
Teresa. Cioè quello che prima dedicavo alla mia creatività
scrivendo, e facendo cose con il PC ora lo riverso principalmente in internet.
Non me la sento più di dirigere la mia vita, basta sono stufo, l'ho
fatto per troppo tempo ed ora almeno nel tempo libero voglio fare ciò
che desidero.
Non di meno riesco a trovare tramite internet un editore per il mio
libro di poesie, e riesco a mandare in America la traduzione di "The courage
to stand alone", che viene pubblicato nel sito ufficiale di U.G.
Nel contempo le mie tribolazioni sul lavoro continuano a non trovare
una soluzione, il mio morale è abbastanza basso, tuttavia sento
un profondo ottimismo di fondo che pervade ogni attimo della mia vita.
Pur nella disfatta, mi sembra di intravvedere la bellezza inusitata della
vita. Il 22 febbraio, giorno del mio compleanno chiamo U.G. in India, faccio
quattro chiacchiere veloci, senza spessore, così tanto per sentire
la sua voce.
Verso fine Febbraio, sono molto stanco e sfiduciato. Ho finito di scambiarmi
delle mails con Moorty per mettere in linea la pubblicazione e nell'ultima
gli dico: "Se sai che U.G. è in Europa fammelo sapere".
Ed appesa ad una mail, mandata quasi per caso, si celano altri brani
del futuro. Anche se a volte mi chiedo quanto è caso e quanto quella
mail era già scritta nelle pieghe del destino. So che Moorty, è
uno di quelli che lo seguono con più costanza e che sanno sempre
dove si trova.
La risposta di Moorty, stranamente non è immediata. (Ho provato
a mandargli una mail, alle 21 ora italiano, ed alle 23, nel ricontrollare
la posta prima di scollegarmi da internet, trovare una sua risposta).
Ma......dopo pochissimi giorni Teresa riceve a casa la telefonata di
Mario che gli dice che è con U.G. a Friburgo, e la prega di farmi
chiamare a sera quando torno dall'ufficio. Detto, fatto!. a sera parlo
con U.G. Lui mi espone il giro che intende fare in Europa, e con il mio
inglese stentato registro che per il fine settimana sarà ad Amsterdam
per qualche giorno. Una parte del mio cervello lavora in proprio. Non so
come, ne perché, ma mi faccio dare il numero di Henk in Amsterdam
dove U.G. sarà ospite.
Come e perché mi diventa chiaro subito dopo, nello svolgersi
degli eventi che sembrano pilotati da una forza superiore. Mi sono fatto
dare il numero perché devo chiamare Henk, perché voglio e
devo andare là. Perché devo incontrare U.G., perché
con lui non prevale la logica della vita, non vincono i furbi i più
aggressivi e prepotenti, perché lui ristabilisce l'ordine, lui ha
il vero potere, lui sta rispondendo alla mia preghiera.
Per farla breve il giorno dopo Teresa ed io siamo su un aereo per Amsterdam.
Tutto era già scritto, la parte del mio cervello che lavora in proprio
lo sapeva molto bene.
Divertente vedere anche come noi due che usiamo preparare i nostri
viaggi all'estero con molto anticipo, ed in mezzo a molto dubbi, ci siamo
ritrovati in questo caso a muoverci con estrema velocità e sicurezza.
Veramente tutto sembrava seguire un percorso già tracciato. Non
vi è stato nello svolgersi degli eventi l'ombra di un ostacolo o
di una difficoltà. Persino il mio inglese sempre stentato all'estero
in Olanda sembra funzionare a meraviglia. È tutto bello quasi un
sogno, come se fossimo catapultati in una avventura un po' diversa, un
po' strana, in una dimensione nuova. Anche la mia fuga dall'ufficio, chiedendo
di corsa i giorni di ferie è una piccola rivincita contro il grigiore
e contro l'odiosa standardizzazione che una vita da dipendente mi ha appiccicato
addosso.
La dolcezza e la bellezza di Amsterdam, che vedevo per la prima volta,
ci fanno compagnia in questo nostro soggiorno, anche se ancora una volta
l'attrazione principale è lui. La permanenza è fissata per
quattro giorni ed in questi quattro giorni stiamo molto con lui e con gli
amici vecchi e nuovi. Noto anche con piacere che ho perso molta della mia
soggezione verso U.G. e verso la platea in genere.
Intervengo senza problemi, non divento più paonazzo, (o forse
lo divento ancora, ma non importa), e riesco ad espormi e chiedere ciò
che desidero. C'è anche un momento particolare in cui do seguito
alla seguente domanda incalzandolo:
"U.G. quello che mi intriga è di capire cosa guida i tuoi spostamenti
da luogo a luogo".
"Sfuggo da voi", risponde lui evadendo la domanda.
"Non ci credo", gli dico, "se fosse così potresti ritirarti
in una grotta".
"La gente che mi circonda è la mia sola realtà",
risponde lui contraddicendo la sua prima risposta.
"Ho l'impressione che tu nasconda qualcosa", concludo.
U.G. si rivolge a Henk: "Dice che nascondo qualcosa!",
gli dice con un tono tra domanda e affermazione. "Certo", risponde Henk,
"è risaputo".
Come sempre quando siamo con lui la questione muore lì, e si
scivola su altri argomenti. non siamo ad una scuola di profonda filosofia,
siamo ad una scuola di profonda realtà.
Anche questo soggiorno si avvia verso il termine, parlando dei suoi
prossimi spostamenti U.G. Parla di Parigi, e poi forse Italia, oppure Inghilterra.
Ne approfitto per riproporgli per l'ennesima volta l'invito a Stresa nel
nostro appartamento al lago.
Lui rimane nel vago. "Devo ancora decidere", dice. L'ultimo giorno
siamo alla stretta di mani. Tutte le mani degli amici presenti, tranne
la sua dato che tendenzialmente non da la mano.
Lo saluto, lui mi fissa con il suo sguardo incredibile e indicando
Teresa dice: "Per il bene di lei verrò in Italia", poi forse dubbioso
che io possa mal interpretare il suo inglese e pensare che abbia capito
per il mio bene e che quindi mi monti la testa aggiunge con molta enfasi:
"per il suo bene, non per il tuo".
Glisso, mentre un'onda di benessere mi attraversa il cuore. Rispondo
con una battuta che ora non ricordo, e ci avviamo verso l'uscita. Sarà
solo in strada, dopo qualche decina di minuti, che capirò che con
quell'ultima frase U.G. ha risposta alla mia domanda del giorno prima.
"Quello che mi muove di posto in posto è il vostro bene".
Non l'ha detto chiaro, non poteva. Chi lo salverebbe da richieste senza
fine se dicesse chiara una cosa del genere. Però è talmente
limpido che comunque non può rifiutare una risposta a chi gliela
chiede.
Quindi riassumendo: "tutti questi accadimenti sono una risposta alla
mia preghiera di Gstaad"? Non io ho vinto la mia riservatezza, ma lui con
la sua intelligenza ha pilotato le cose in modo che gli eventi mi portassero
ad ottenere quella comunanza con lui che tanto avevo bramato quel giorno
a Gstaad, e che a causa del mio carattere non avevo saputo prendere. Quindi
basta tutto questo per colmare la mia preghiera di Gstaad?
E no che non basta! Dopo Parigi e qualche contatto telefonico U.G.
viene in Italia nostro ospite a Stresa. È mercoldì
pomeriggio (della settimana dopo Amsterdam) Teresa mi telefona in ufficio
concitata, ma non troppo.
"Ha telefonato Nataraj", dice, "arrivano oggi a Stresa alle 18, l'appuntamento
è davanti all'hotel Primavera", (che per U.G. ha qualche significato
recondito).
Ancora una volta mi sento profondamente vivo e profondamente immerso
nell'avventura e nella realtà. Mollo l'ufficio e chiedo ferie
per il giorno dopo, senza dare spiegazioni. Corro a casa a recuperare
Teresa, e ci avviamo all'appuntamento. È proprio Teresa, a dipingere
la suggestione della nostra corsa verso Stresa, in un soleggiato pomeriggio
d'inizio primavera.
"Penso alla nostra macchina ed alla loro che si stanno correndo incontro
sui nastri d'asfalto, per incontrarsi come in un abbraccio", dice. Ed è
difficile dipingere la palpabilità della gioia che riempie l'abitacolo
della macchina in quei momenti. Nulla più esiste, via le ansie di
tutti i giorni, solo un immediato futuro che sappiamo bene odorare di serenità
e di amore.....(Non trovo parole migliori...).
Un poco prima delle 18 siamo in appostamento. Arriveranno alle 18,30.
"Siamo in ritardo", dice U.G. "Mezz'ora di ritardo su una distanza così
lunga mi sembra ragionevole rispondo". Sono partiti alla mattina da Parigi,
e l'ultima conferma l'avevamo avuta alle 16 da Lucerna.
All'inizio fa' un po' di resistenza sull'offerta della nostra ospitalità,
suggerisce che magari è meglio che lui vada in albergo. Secondo
me vuole capire se e quanto è realmente ben accetto. Io insisto
affinché dia un'occhiata all'appartamento poi se non gli piace possiamo
cercare un albergo. Seguiamo il mio suggerimento, e alla fine si lascia
convincere. Con lui c'è Nataraj e Yashoda, poi arriverà anche
Trisha la ragazza di Yashoda. Noi ci esiliamo in albergo mentre lui rimane
nel nostro monolocale.
È veramente difficile mettere sulla carta tutte le sfumature,
tutte le delicatezze, tutta la genialità di cui è capace.
Se ad Amsterdam erano stati quattro giorni immersi nel miele, ancor di
più lo sono questi in Italia. Il giorno dopo andiamo tutti a Milano,
lui naturalmente vuole andare alla Rinascente, mentre i due amici tedeschi
visitano il Duomo. (Trisha non è ancora arrivata). Alla sera noi
rimaniamo a Milano in quanto il giorno dopo io devo lavorare.
Siamo straniti entrambi, Teresa ed io quella sera. Io ho un mal di
testa come non avevo mai avuto e Teresa sembra stordita. Effetti collaterali
della vicinanza a U.G. La mattina dopo carico di un dinamismo mai conosciuto
prima, chiudo tutte le mie pendenze lavorative e chiedo ferie per il pomeriggio.
Penso tra me e me: "Ora che è qui a mia disposizione sono così
pazzo da lasciarmelo sfuggire".
Arriviamo al lago presto, ma lui arriverà alla sera alle sette,
più o meno l'ora in cui avevamo detto che arrivavamo noi. Quando
sa che l'aspettavamo dalle 16 mi chiede scusa. "Sono io che non ti ho avvertito",
rispondo, "la colpa è mia". Ci aspetta il week end di comunanza
con lui. Si mangia da lui. Nataraj cucina ed a turno si asciugano i piatti.
Si va in giro con lui. Molte ore di macchina, poche fermate, qualche
piccolo centro commerciale. Non finirò mai di dirlo: "è sorprendente
come con lui tutto sembri seguire un ordine prestabilito. Gli ostacoli
si appianano. Gli eventi anche i più insignificanti si colorano
di vivo, di reale.
Sembra di vivere in un sogno colorato, eppure le cose che si fanno
sono le cose ordinarie di tutti i giorni. Ma la realtà ha un fascino
contagioso. È troppo bella!
C'è un altro momento in cui mi attraversa una sensazione che
voglio riferire. È una sensazione che riconosco, non mi è
nuova, mi era già successa nell'infanzia. È solo una sensazione
e vale quello che vale, però l'ho provata quindi la riferisco.
Si tratta di una gioia intensa che mi ghermisce mentre siamo tutti
e cinque li attorno a U.G. parlando e scherzando. È una gioia pura,
un momento di serenità, in cui percepisco che è bello stare
assieme. È bello condividere momenti con amici, senza ansia, senza
sottintesi, senza secondi fini, senza aspettative. La gioia dell'essere
assieme in se e per se. Ricordi ancestrali che appartenevano alla purezza
del bambino. In contrasto con i rapporti degli adulti in cui anche nei
casi più puri non manca mai un tacita aspettativa di ricevere qualche
cosa in cambio. Non fosse altro che un grazie per la nostra gentilezza.
Con U.G. queste cose sono bandite.
Sabato, un giro a Verbania al mercato la mattina. Nel pomeriggio, la
visita di Giovanni Turchi e Lucia. Domenica grande giro a Como e ritorno
da Lugano e Locarno. Secondo me in questa particolare sua visita perdo
due ricche opportunità. La prima è quando scherzando con
Nataraj U.G. gli chiede il piano per i prossimi giorni.
Nataraj gli suggerisce di fermarsi li al lago, e poi chiede a me "però
gli mancherà un autista, (Yashoda deve tornare in germania per motivi
di lavoro), non puoi farlo tu?" U.G. lo striglia per l'indiscrezione.
Teresa si offre lei. Io sbaglio, Dio, se sbaglio, quando imparerò
a seguire il cuore e non la testa? "Non so se mi danno le ferie", dico
aggiungendo "potrei avere qualche difficoltà".
Nataraji mi suggerisce di mettermi malato e U.G. lo redarguisce ancora
per la sua indiscrezione ed io glisso. Stupido, stupido, stupido! mi sono
fatto scrupoli per il mio impegno nel lavoro ed ho lasciato U.G. Verificato
quello, U.G. che fino al momento si era dimostrato possibilista verso ogni
soluzione, cambia di scatto atteggiamento e dice: "O.K. Lunedì Zurigo".
Da lì in avanti sarà irremovibile. Io ci tornerò
sopra, dicendo: "vado al lavoro lunedì e provo a chiedere
ferie", ma lui ormai ha deciso: Zurigo. Spero che la vita mi dia la possibilità
di rifarmi di questa mia stupidità.
La seconda opportunità che perdo è che quando siamo andati
a Como siamo passati dal mio paese natio, dove tuttora vivono i miei famigliari
e mia sorella. È sempre stato un mio pallino fargli conoscere U.G.,
che secondo me è, una benedizione solo ad incontrarlo. Ma quando
siamo lì combatto una battaglia dentro di me sul fatto se proporgli
o no una fermata dai miei e poi finisco per non dire nulla. Giocano contro
a questa ipotesi, mia moglie, che me lo sconsiglia, mia sorella che si
dice imbarazzata all'idea. Nel mio dilemma interiore invece spingevano
a favore le parole di Moorty che a Gstaad mi aveva consigliato di espormi
con U.G.
U.G. che secondo me sentiva molto bene i miei pensieri (e questo nessuno
me lo toglie dalla testa) non è intervenuto, lasciando sulle mie
spalle la responsabilità della scelta.
Altre particolarità degne di nota, (si potrebbe scrivere pagine
e pagine su certe sfumature), comunque è stato interessante il nostro
pranzo a Como.
U.G. è estremamente adattabile, e si fa cura di non creare problemi.
Però noi sappiamo che oltre essere vegetariano può mangiare
solo certe cibi, a causa dell'età e di problemi di stomaco. Così
io che mi sento un po' il padrone di casa mi sento in dovere di farlo stare
bene, e mi precipito in giro per le viuzze di Como alla ricerca del ristorante
vegetariano.
Ricerca vana, è quasi l'una ed in qualche modo bisogna mangiare.
Si punta verso il menu esposto da un 4 stelle a Como. Ci credereste? nel
menu ci sono i "capelli d'angelo", uno dei cibi preferiti di U.G.
L'albergatore, che si era rallegrato vedendo quella allegra compagnia
di 6 persone, ci rimane un po' male quando vede che l'ordinazione si limita
ad un primo per tutti i presenti, e che la bevanda di accompagnamento sarà
acqua naturale. Alla fine U.G. vuole assolutamente pagare il conto, e lascia
cadere una decina di mille lire di mancia per il cameriere.
Altra nota caratteristica della giornata, che ci ha visto in giro per
12 ore, sarà il trovare tutti spossati e stanchi alla sera,
tranne lui, l'uomo di 81 anni, che sembra fresco e tranquillo come se si
fosse appena alzato.
Domenica sera l'arrivederci. Lo salutiamo e salutiamo i tre amici tedeschi
che lo hanno accompagnato li. Al lago aveva anche ventilato l'ipotesi di
andare a Roma. Marisa, Paolo, Salvatore ed altri l'aspettano, però
l'ho sentito recentemente a Londra e mi ha detto che per quest'anno ha
chiuso con l'Italia e che non verrà. Pazienza l'incontreremo a Gstaad.